Il lavoro del giornalista è quello di uscire per le strade, raccogliere informazioni, opinioni e impressioni, riassumerle e condurre ricerche, scriverle in modo chiaro ed efficace, con l’obiettivo di divulgare la verità. Ma spesso la stampa cade vittima di minacce e attacchi.
Questo approccio verso i giornalisti sembra aggravarsi nel 2020. Dall’inizio delle manifestazioni contro il razzismo i giornalisti hanno incontrato la violenza e la brutalità della polizia. Più di 380 episodi di violenza sono avvenuti contro la stampa. E più di 70 interviste sono state realizzate per rivelare la brutalità della polizia contro chi sta semplicemente svolgendo il proprio lavoro.

Le proteste per la libertà di stampa si sono diffuse rapidamente in tutti gli Stati Uniti e Committee to Protect Journalists (CPJ) ha lavorato con US Press Freedom Tracker, per documentare e indagare sui casi in cui la stampa è stata attaccata con proiettili di gomma, lacrimogeni e spray al peperoncino; alcuni giornalisti sono stati addirittura arrestati.
Ne è un esempio la storia della co-fondatrice e direttrice esecutiva del Rappler, Maria Ressa, che insieme al suo ex collega, Reynaldo Santos, sono stati condannati a sei anni di carcere a inizio giugno. I due giornalisti sono, al momento, rappresentati dall’avvocato per i diritti umani Amal Clooney e sono stati rilasciati su cauzione mentre fanno appello al verdetto.
Ad aggravare la situazione sulla libertà di stampa, sta già influendo da mesi la pandemia di Covid-19. In tutto il mondo si stanno verificando casi in cui i leader cercano di limitare la libertà di stampa. Amnesty International aveva riportato che molti governi usano il virus come pretesto per sospendere una serie di garanzie costituzionali. Nuove leggi e nuovi regolamenti stanno minacciato in particolar modo i giornalisti durante questi mesi. La Cina occupa i primi posti quando si parla di censure e punizioni in questo contesto. Ma anche in Russia, Egitto, Venezuela e in molti altri paesi, si sono verificati casi di minaccia alla stampa.
Alla fine di giugno, il Tracker stava indagando su oltre 450 violazioni in 71 città di 35 stati diversi.
Per questo il consiglio della Committee to Protect Journalists, insieme ai suoi partner, hanno chiesto la fine di questi attacchi.

Committee to Protect Journalists si impegna a pubblicare costantemente molteplici avvisi di sicurezza, offre consulenze a giornalisti e redazioni e fornisce assistenza finanziaria e non finanziaria alla stampa in pericolo. Nei primi sei mesi del 2020, il team Emergencies di CPJ ha assistito più di 170 tra editorialisti e reporter. Più di 11.000 giornalisti, provenienti da oltre 160 paesi, hanno firmato la petizione #FreeThePress. Dal lancio della campagna almeno 13 giornalisti sono stati rilasciati dal carcere. Ma c’è ancora molto lavoro da fare.
La petizione è stata condivisa anche con il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, il quale ha risposto: “Desidero ribadire il mio impegno personale, e quello delle Nazioni Unite nel loro insieme, di continuare a difendere la libertà dei media e la sicurezza dei giornalisti durante la pandemia di COVID-19 e oltre, anche sostenendo, pubblicamente e bilateralmente, il rilascio di giornalisti detenuti arbitrariamente. Nessuna democrazia può funzionare senza la libertà di stampa, che è la pietra angolare della fiducia tra le persone e le loro istituzioni e che è più critica in un momento di crisi in cui i cittadini richiedono responsabilità”.
È stata consegnata anche una lettera aperta al presidente Trump, firmata da 72 organizzazioni globali, e un’altra è stata data ai governatori degli Stati Uniti, chiedendo di ritenere responsabili gli autori di violazioni della libertà di stampa e di fermare gli attacchi.

Già nel lontano 2013 il presidente degli Stati Uniti Barack Obama era entrato in carica promettendo un governo aperto, ma non ha rispettato la sua promessa. Giornalisti e sostenitori della trasparenza affermarono che la Casa Bianca limitava la normale divulgazione di informazioni. All’epoca aveva fatto parecchio rumore il racconto di Snowden, ex tecnico della CIA e collaboratore della National Security Agency (NSA), che aveva rivelato l’ampia sorveglianza di massa del traffico telefonico e e-mail da parte della NSA in complicità con servizi di intelligence di altri paesi, sia nei confronti di cittadini e istituzioni statunitensi, che stranieri. Snowden aveva messo a disposizione di alcuni giornalisti numerosi documenti top secret collezionati durante la sua attività per l’NSA. I primi documenti riservati furono pubblicati dai quotidiani The Washington Post e The Guardian, attirando una notevole attenzione da parte del pubblico di tutto il mondo. Nel 2014 era stato pubblicato il rapporto “Attacks on the press” da CPJ, dove si mostravano dubbi circa la protezione della libertà di espressione online.
Questa primavera, CPJ ha pubblicato un rapporto, “The Trump Administration and the Media”, scritto da Leonard Downie Jr., ex redattore esecutivo del Washington Post e autore del rapporto del CPJ del 2013, che riguardava l’accusa aggressiva dell’amministrazione Obama riguardo il pesante uso di programmi di sorveglianza sopra citato.
CPJ riprende il rapporto di Leonard Downie Jr, scrivendo: “gli attacchi alla credibilità della stampa mettono in pericolo la democrazia americana e la libertà di stampa globale. L’amministrazione Trump ha intensificato le azioni penali contro le fonti di notizie, ha interferito nel business dei proprietari dei media, molestato i giornalisti che attraversavano i confini degli Stati Uniti e ha autorizzato i leader stranieri a limitare i propri media”.
Nel rapporto, vengono esaminate le sfide e le minacce alla libertà di stampa negli Stati Uniti e in che modo la retorica anti-stampa del presidente Trump ha incoraggiato i leader autoritari a livello globale a reprimere la stampa nei loro paesi. Il rapporto include raccomandazioni al presidente Trump, che lo invitano a difendere la libertà di stampa, astenersi dal screditare i media e migliorare l’accesso alle informazioni. Committee to Protect Journalists ha anche inviato una lettera alla Casa Bianca, chiedendo un incontro, ma non ha ancora ricevuto una risposta.