Come se niente fosse: così si potrebbe riassumere il modo con cui Donald Trump si appresta a celebrare il 4 di luglio, la festa nazionale degli Stati Uniti che appunto coincide con la data della dichiarazione di indipendenza. Trump ha deciso che in piena pandemia, fosse doveroso e giusto andare a festeggiare come si deve il 4 luglio in South Dakota, ai piedi del monte Rushmore, dove sono scolpite le teste dei presidenti Washington, Jefferson, Lincoln e Roosevelt (Teddy). Questo mentre gli Stati Uniti hanno riportato ieri il numero record di più di 55 mila contagiati da Covid-19 in un giorno. Nell’ultima settimana più di 300 mila casi! Gli Stati più colpiti dal rimbalzo in alto? Arizona, Florida, Texas e California. Ma anche tanti altri focolai in altri stati, pure del Mid-West, proprio nel serbatoi di voti di Trump. Il dr. Anthony Fauci, nella sua testimonianza al Congresso questa settimana, ha avvertito che se non verranno presi subito i giusti provvedimenti, potremo presto arrivare alla cifra di 100 mila contagiati al giorno!

Eppure Trump, col suo rifiuto di apparire con la mascherina in pubblico, resta il simbolo dell’incapacità della leadership di questo paese di guidare gli americani sulle misure di contenimento del virus. Il presidente tra poche ore parlerà e poi guarderà i fuochi d’artificio – in una zona dove di solito sono vietati perché causano incendi! – davanti a migliaia di spettatori che non dovranno mantenere alcuna “social distance” e, soprattutto, non avranno l’obbligo di indossare la mascherina, quasi in reverenza al loro duce che infatti non la deve e non la vuole indossare mai!

Già, un quattro di luglio veramente speciale questo per gli Stati Uniti quest’anno, con la più formidabile potenza mai esistita nel pianeta Terra che invece va assomigliando sempre più ad un paese del quarto mondo che non riesce a tenere sotto controllo una pandemia come invece sono riusciti a fare in molti altri paesi inclusa l’Italia. Agli USA sarebbe bastato osservare e seguire New York, lo stato dell’Unione più colpito tra marzo e aprile, che grazie anche alla guida del suo governatore Andrew Cuomo, ha avuto successo nell’abbassare la curva dei contagi e tenerla ferma verso il basso. Così, alla fine, agli USA tocca pure subire l’umiliazione inevitabile da parte dell’Unione Europea, che per quest’estate ha dovuto escludere i cittadini americani dal poter entrare nel suo territorio a causa proprio di questo mancato controllo sulla diffusione del virus.
Thomas Jefferson, la cui statua nella capitale USA deve essere protetta per non essere attaccata da chi vede in lui un simbolo del razzismo e schiavismo – Il terzo presidente degli USA, come del resto il primo presidente George Washington, possedeva degli schiavi – fu il principale autore di quella dichiarazione del 4 di luglio, 1776, che diede vita al più grande esperimento di costruzione nazionale della storia dell’umanità. Quando le 13 colonie si ribellarono al re della Britannia, la più grande potenza militare di allora, e decisero di unirsi per la lotta all’indipendenza e alla creazione degli Stati Uniti d’America, coloro che sottoscrissero “The Declaration of Independence”, al momento di firmarla, erano ben coscienti che in caso di fallimento sarebbero stati impiccati. I “padri fondatori” sapevano bene che le probabilità di successo della loro “rivoluzione” fossero molto remote e quindi per questo, proprio Jefferson, giocò d’azzardo con le parole di quella dichiarazione, rischiando il tutto per tutto: se da lì a pochi mesi lui e gli altri “rivoluzionari” fossero stati presi e impiccati, almeno sarebbe rimasto quel documento “rivoluzionario” scolpito nella storia delle grandi idee progressiste.
Ora, proprio nel momento delle proteste del Black Lives Matter, quando ad essere in pericolo sono anche le statue di Jefferson e Washington e di tutti coloro che rappresentano la nascita di una società che mantenne lo schiavismo per quasi un secolo dalla dichiarazione di indipendenza, è doveroso mettere nella giusta prospettiva storica le parole scritte da Jefferson. Era solo un ipocrita? La sua era solo propaganda? Come poteva lui, possessore di schiavi, rispecchiare quei concetti di libertà, legalità e fratellanza che da lì a pochi anni saranno diffusi dalla Rivoluzione Francese anche col terrore?
Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto a un altro popolo e assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza separata e uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell’umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione.
Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.
Già, come si fa a conciliare le straordinarie idee scritte da Jefferson nel 1776, “che tutti gli uomini sono creati eguali… che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”, quando si ricorda come continuò fino alla morte ad essere un uomo che alimentava le sue ricchezze sfruttando la schiavitù di uomini e abusando delle donne che aveva comprato?
Stamattina, prima di scrivere queste righe, mi è capitato di vedere sul sito di NPR un bel video in cui i discendenti di Frederick Douglass, hanno recitato davanti una telecamera il suo famoso “Fourth of July Speech” che intitolò “What to the Slave is the Fourth of July?” (Che cosa significa per uno schiavo il 4 di luglio?). Ascoltateli nel video sotto quei ragazzi discendenti di uno schiavo che dopo essere fuggito riuscì a diventare un grande leader del movimento abolizionista. Solo ritrovandoci tutti in quel discorso di Douglass, a prescindere dal colore della nostra pelle, possiamo tutti continuare a credere nelle virtù degli Stati Uniti d’America per il futuro progresso dell’umanità. Quegli stessi valori di cui abbiamo già scritto all’inizio delle proteste anche violente, avvenute dopo l’assassinio di George Floyd, in questa column.
Quando Jefferson scrisse quella dichiarazione, pensiamo intuisse che quelle parole avrebbero alimentato un esperimento americano in continua evoluzione, che non è già “Great” ma va verso il miglioramento e perseguimento di quelle idee. Cioè il “pursuit of happiness”, come percorso mai finito e mai interrotto. Ma che nella storia americana, anche con momenti violenti, comunque si è continuato negli anni a perseguirlo. Non è stato mai raggiunto ancora in America il valore che gli uomini siano considerati di fatto “tutti uguali”. Però questo paese, che nonostante lo slogan trumpiano non è mai stato “Great”, ha sicuramente dimostrato ancora una volta, soprattutto con gli americani scesi in piazza in queste settimane, che un giorno lo diventerà veramente e per sempre. Certo Trump è per ora il simbolo di come la lunga marcia verso la realizzazione di quella dichiarazione del 4 di luglio troverà ancora diversi ostacoli che ne rallenteranno il suo perseguimento, eppure siamo ottimisti che presto, a novembre, grazie alla sua formidabile democrazia, quella marcia sulla strada indicata dallo schiavista Jefferson, verso quella felicità per tutti, riprenderà più forte di prima verso la salvezza di tutti.