Poco dopo che il COVID-19 è stato dichiarato una pandemia globale, molti governi in tutti e cinque i continenti lo hanno usato come pretesto per mettere in pausa una serie di garanzie costituzionali e per perseguitare coloro il cui compito è quello di informare il pubblico. Diversi stati hanno approvato una serie di leggi, regolamenti e misure di emergenza, con sanzioni che variano da piccole multe a pene detentive, che minacciano in modo specifico la libertà di stampa e il diritto di ogni individuo alla libertà di parola.
La repressione della libertà di stampa influisce non solo sulla libertà di tutti di parlare apertamente, ma indebolisce anche gli sforzi per combattere la pandemia. L’accesso a informazioni tempestive e accurate è una parte cruciale del diritto alla salute di ogni individuo, e limitando l’accesso alle informazioni sulla natura e sulla diffusione del virus, nonché sulle misure per proteggersi, i governi hanno effettivamente impedito ai propri cittadini di prendere decisioni informate quando si è trattato di affrontare l’emergenza. “Non c’è speranza di contenere questo virus se le persone non possono accedere a informazioni accurate. È davvero allarmante vedere quanti governi sono più interessati a proteggere la propria reputazione che a salvare vite umane”, ha dichiarato Ashfaq Khalfan, direttore del dipartimento di Politiche e Leggi presso Amnesty International.
Il primo governo a censurare i resoconti dei media e punire gli informatori durante i primi giorni della pandemia è stata la Cina. Successivamente, molti governi hanno seguito il suo esempio. In Russia, il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha pubblicato un video su Instagram dove minacciava una giornalista che criticava i suoi commenti sulle persone che trasmettono l’infezione, definite “peggio dei terroristi” che “dovrebbero essere uccisi,” e ha fatto appello al servizio di sicurezza russo (FBS) per “fermare quei non umani che scrivono e provocano il nostro popolo.” In Egitto, le forze di sicurezza hanno arrestato il caporedattore di un giornale online e lo hanno fatto sparire per un mese dopo che costui ebbe contestato le statistiche ufficiali dei casi di COVID-19. In Venezuela, un giornalista che diffondeva informazioni sulla propagazione del virus è stato accusato di “patrocinio dell’odio” e “istigazione a commettere reati”.Giornalisti sono stati perseguitati per aver ricoperto il COVID-19 in molti altri paesi, tra cui Azerbaigian, Kazakistan, Serbia , Bangladesh, Cambogia, India, Niger, Uganda, Ruanda, Somalia, Tunisia, Turchia e Palestina. Molti hanno anche subito molestie, intimidazioni, attacchi verbali e fisici.
Oltre che per attaccare giornalisti e operatori dei media, molti paesi hanno usato COVID-19 come pretesto per introdurre o espandere le leggi contro la diffusione di “fake news” (notizie false, ndr). Come ha affermato Christophe Deloire, segretario generale di Reporter senza frontiere (RSF-RWB), “I peggiori regimi hanno fatto ricorso a tutti i mezzi a loro disposizione per reprimere ancora più duramente [il diritto all’informazione, ndr] e, quando questi si sono rivelati insufficienti, ne hanno introdotti di nuovi usando la scusa di un’emergenza o di circostanze eccezionali”. Ad esempio, il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha introdotto una legislazione di emergenza che gli consente di governare per decreto per un periodo di tempo indeterminato e che stabilisce una pena detentiva di cinque anni per “diffusione di informazioni false”. In Myanmar, le autorità hanno minacciato di perseguire chiunque diffondesse “fake news” su COVID-19, e il Ministero della Salute ha affermato che avrebbe fatto causa a chiunque parlasse della mancanza di dispositivi di protezione individuale negli ospedali. Altri paesi che hanno fatto ricorso a legislazioni simili includono Azerbaigian, Bosnia, Ungheria, Russia, Uzbekistan, Cambogia, Sri Lanka, Tailandia, Tanzania e diversi stati del Golfo. L’elenco completo dei paesi che hanno introdotto normative sulle “fake news” durante la pandemia, nonché statistiche su attacchi fisici e verbali contro giornalisti ed episodi di censura, sono disponibili sul sito web dell’International Press Institute.
Gli Stati Uniti non fanno eccezione a quanto descritto sopra. La polizia ha arrestato e aggredito giornalisti che coprivano le proteste contro l’uccisione George Floyd in tutto il paese. Dal 26 maggio, ci sono stati almeno 300 incidenti, la maggior parte commessi dalla polizia, tra cui 192 aggressioni (160 della polizia), oltre 49 arresti e 42 incidenti di danni alle attrezzature, secondo il US Press Freedom Tracker.
Il ruolo dei governi è cruciale quando si tratta di difendere la libertà di parola e la libertà di stampa; questi hanno un dovere di protezione nei confronti dei loro cittadini e quindi “devono garantire che le informazioni su COVID-19 e sulle misure che vengono prese per affrontarlo possano circolare liberamente”, ha affermato Ashfaq Khalfan. “Le persone hanno il diritto di commentare, esaminare e criticare tali misure senza timore di rappresaglie”, ha concluso.