
Non andrò di certo a vedere il fim Hammamet diretto da Gianni Amelio. Non ci andrò di proposito, per diversi motivi. Il primo è prettamente cinematografico: detesto fortemente certi film di (molti) registi italiani che si aggrappano ai fatti accaduti in Italia nei decenni passati e li narrano “cambiando la storia”, magari solo distorcendo aspetti marginali che comunque non hanno magari né visto né conosciuto di persona. E “Hammamet” fa parte di queste pellicole: per me è un film senza un vero interesse storico, anche perché ripercorre, di Bettino Craxi, solo l’ultimissima parte della sua vita, quella di esule, o latitante secondo alcuni, in Tunisia. E il resto? Il suo culmine politico? Sigonella? Il leader dell’ago della bilancia fra DC e PCI? Niente.
Ma ho una ragione anche più importante per non voler vedere il film di Amelio: perchè ad Hammamet, a casa di Bettino Craxi, io ci sono stato davvero. Per intervistarlo. Era il 1999 e fu una storia, quella dell’organizzazione dell’intervista, davvero difficile. Non certo per colpa dell’ex segretario del Partito Socialista, che negli anni 80 e 90 già conoscevo, vuoi per quei famosi quanto faraonici congressi che si organizzavano a Milano (ne ricordo uno con le scenografie deell’architetto Larini, con tanto di piramide-video su cui passavano le immagini del leader del garofano rosso), vuoi attraverso gli allora sindaci di Milano, Tognoli e Pillitteri (quest’ultimo cognato di Craxi avendone sposata la sorella Rosilde).

Dunque, dopo la “fuga” ad Hammamet, io contattai al telefono Craxi e gli proposi di andare a intervistarlo, per conto di una televisione straniera. Lui disse subito di sì, mi chiese di inviargli un fax con questa richiesta che lui avrebbe “girato” poi alle autorità tunisine. E qui cominciò il balletto della burocrazia di Tunisi: fui contattato dalle autorità del Paese e mi fu spiegato che il signor Craxi non voleva essere intervistato. “Peccato che lui invece – dissi al telefono al funzionario – fosse perfettamente disponibile e anzi contento di questo. Ho qui anche un fax con una dichiarazione scritta dallo stesso politico che afferma di voler accettare tale intervista”. Niente da fare, di nuovo le autorità tunisine negano questa cosa e anzi mi invitano a non recarmi con tale scopo nel Paese.
Prendiamo una decisione: ci andremo ugualmente, d’altronde il mestiere ci insegna che è sempre meglio provare… che lasciar perdere. Si parte divisi, io da Linate, un altro collega e il cameraman da Roma, ci dichiariamo “uomini d’affari”, un pezzo di telecamera ce l’ho io in borsa, un altro pezzo il collega così nessuno si insospettirà, ci si incontra a Tunisi, si prende un auto a noleggio e si va ad Hammamet. “Ci vediamo a mezzanotte all’Hotel Sheraton” mi informa Craxi. E a mezzanotte precisa eccolo arrivare nella hall, fra i baciamani di alcuni presenti accorsi a salutarlo. Ci parliamo per un po’, poi ci rimandiamo alla mattina: “Verrà a prendervi alle 10 il mio autista, Marcello”.
Ore 10, ecco Marcello con un fuoristrada, pronti, via, si sale verso le colline. Appare un muro lunghissimo, poi un portone, Marcello si gira e dice di dargli i passaporti, perchè da questo momento non saremo giornalisti ma solo uomini d’affari venuti a discutere di affari: si apre il portone e… due guardie armate ritirano i passaporti nostri. Altro portone, altre guardie armate e poi ecco lui, Bettino Craxi.

Sarà una lunga intervista, tiriamo fuori la telecamera (e immaginiamo che già qualcuno avrà avvisato le autorità tunisine del nostro arrivo “poco gradito”) e si comincia con domande e risposte. Parlerà per ore, poi un giro nei giardini della villa, il pranzo con lui e qualche nipotino, più la moglie del figlio, poi un paio di punture per il diabete (che lui si fa da solo, senza problemi davanti a noi, alzandosi la camicia), racconti di regali e dispiaceri per chi avrebbe tradito, per quelli che lo hanno abbandonato, per il Paese Italia ingrato. A sera i saluti, e ci regala (a noi tre cronisti) un vaso verniciato il tricolore, una sua creazione, titolo “L’Italia che piange”. Consegnadomi uno di questi vasi (che ancora possiedo) aggiunge una frase: “Guardi, qui, fra le guardie del presidente, in questa villa, io sono ospite e prigioniero”. Una frase che ricorderò sempre, perchè per un attimo mi è sembrato mostrato una persona diversa dal grande politico di un tempo, sempre così sicuro di se. Colpevole? Innocente? Ai posteri l’ardua sentenza. Di certo è stato indimenticabile questo incontro, per diversi motivi.
Il giorno dopo, all’aeroporto di Tunisi, devo riprendere il volo che mi riporterà a Milano. Mostro il passaporto e il documento su cui ho scritto “Uomo d’affari”. L’addetto mi guarda e mi chiede ironico: “Journalist?”. Ma si, sono un giornalista, diciamoglielo, da qui non scappo più, e il pensiero già mi corre alle possibile celle di qualche prigione tunisina. Macchè, niente di tutto questo, l’addetto sorride con i suoi denti bianchi e mette un bel timbro sul passaporto (allora ce lo mettevano!) e s vado all’imbarco. Con l’intervista (allora realizzata su un videocassetta) ben nascosta nel trolley. E’ fatta. Si torna a casa. All’arrico telefono a Craxi, tutto ok, grazie, a breve manderemo in onda l’intervista.
Qualche mese dopo, gennaio 2000, una crisi porterà Bettino Craxi in ospedale, per un intervento, e poi alla morte per infarto. Sono passati già 20 anni….