Caro Zerocalcare,
A te mi rivolgo, e a te penso di poter parlare – come un tempo si diceva – con il cuore in mano, e sicuro che accoglierai le mie obiezioni come un ragionar pacato e senza condizionamento di pregiudizio. E scopro subito le mie carte: parlo a uno che considero tra i migliori disegnatori di questa generazione. Non ho remora a dire che il tuo “Kobane Calling” mi ha insieme commosso e indignato: poesia e denuncia, richiamo a responsabilità che tutti abbiamo, non foss’altro per l’inerzia e l’indifferenza per l’accaduto (che ancora accade); e ammirazione per i lavori, successivi e precedenti: avidamente cercati, hanno un posto in prima fila, nello scaffale dello studio, con i libri che amo avere davanti agli occhi…
Questo per dirti della considerazione e dell’ammirazione; e per spiegare perché ti scelgo come ideale interlocutore per quello che mi accingo a dire.
Parto da un tuo post:
“Ciao, in effetti ho annullato tutti i miei impegni al Salone del libro di Torino, sono pure molto dispiaciuto ma mi è davvero impossibile pensare di rimanere tre giorni seduto a pochi metri dai sodali di chi ha accoltellato i miei fratelli, incrociarli ogni volta che vado a pisciare facendo finta che sia tutto normale. Non faccio jihad, non traccio linee di buoni o cattivi tra chi va e chi non va, sono questioni complesse che non si esauriscono in una scelta sotto i riflettori del salone del libro e su cui spero continueremo a misurarci perché la partita non si chiude così. Sono contento anche che altri che andranno proveranno coi mezzi loro a non normalizzare quella presenza, spero che avremo modo di parlare anche di quello.
Ciao
PS: non è che io so diventato più cacacazzi negli ultimi tempi, anzi so pure molto più rammollito, è che oggettivamente sta roba prima non sarebbe mai successa. Qua ogni settimana spostiamo un po’ l’asticella del baratro”.
Per quel mondo che non sopporti a pochi metri da te, non ho mai avuto simpatia: né da ragazzo, quando si può essere avventati; né ora, quando l’età può giustificare una perdita di senno. Altre, semmai, le mie corbellerie.
Non è certo a te che devo ricordare quelle parole attribuite a Voltaire, e che più propriamente appartengono alla sua biografa Evelyn Hall: “Non sono d’accordo con te, ma darei la vita perché tu possa dirlo“. E’ un’aurea regola di tolleranza, che ci rende diversi e migliori da chi, incapaci di intendere ma non di volere, inneggiano al fascismo e al suo “inventore”, Mussolini.
Concedo senz’altro che sia sgradevole la presenza, al salone del Libro di Torino, di una casa editrice vicino al movimento di estrema destra Casa Pound, il cui direttore non ha remora a definirsi fascista. Una casa editrice che finora era sconosciuta ai più, e che grazie anche a queste polemiche ha ora acquistato una certa notorietà. Una casa editrice nel cui catalogo compare un libro-intervista al ministro dell’Interno Matteo Salvini. Chi si assomiglia si piglia, dice un proverbio. Questo loro pigliarsi è certo un problema; e che riscuota tanto, diffuso consenso, è a dir poco inquietante.
Ma per tornare al Salone del Libro torinese: il consulente editoriale Christian Raimo, si dimette per quella non gradita presenza; e un nutrito gruppo di stimati autori, e tu tra questi, annunciano che diserteranno l’evento.
Rispetto i tuoi/vostri sentimenti, guai a non averne, a non provare gioie, dolori, emozioni. Ma ti confesso che mi convince assai più la scrittrice Michela Murgia: che va al Salone proprio per meglio marcare un preciso impegno antifascista e antirazzista; perché se ci sono i fascisti è bene non lasciar loro campo libero. Gli Aventini, da sempre, pur se nobili, non hanno mai portato troppa fortuna.
Raimo, aggiungo, è anche autore di un post (poi rimosso), con un elenco di giornalisti e scrittori, tra gli altri Alessandro Giuli, Francesco Borgonovo, Pietrangelo Buttafuoco, accusati di alimentare idee tra il neo-fascismo e il sovranismo; che appartengano a quell’area di pensiero, non c’è dubbio. Che li si debba mettere in una “lista”, mi convince assai meno. Anzi: non mi convince affatto. In passato abbiamo già visto liste di persone che per i loro credo, i loro pensieri, il solo fatto di essere quello che erano, sono state discriminate, perseguitate. No: chiunque la faccia, una “lista”, non mi troverà mai d’accordo; come sarò sempre dalla parte del libro, quale esso sia, e contro chi lo vuole bruciare, quale che possa essere la nobilissima ragione che c’è dietro a quel falò.
Torno a Voltaire; lui, chissà, forse avrebbe raccomandato silenzio; la polemica è l’anima della pubblicità. Forse ci avrebbe ricordato che la cosa più stupida è la censura, quale che sia.
Io mi limito a osservare che sono fenomeni che registro con una certa inquietudine. Non mi piace per nulla che a Parigi il collettivo di lotta di Sciences Po abbia impedito una conferenza del filosofo Alain Finkielkraut, definendolo “un reazionario” dalle posizioni “razziste, sessiste, intollerabili e pericolose”.
Non mi piace per nulla che in alcuni stati dell’Unione si metta al bando “Huckleberry Finn” del padre della letteratura americana, Mark Twain. La dico tutta: non mi piace neppure per nulla la vicenda relativa a Woody Allen; può essere che nel letto di casa sua si comporti in modo discutibile; che abbia pensieri, e compia anche gesti, che non vanno d’accordo con l’idea di morale che abbiamo. Nulla da dire sul fatto che qualcuno, se lo incontra per strada, cambi marciapiede. Ma – sempre che sia vero, e non mi pare ci siano sentenze di tribunale che lo abbiano condannato, né mi pare si siano mosse prove circostanziate e decisive circa sue colpe – sono allora da boicottare anche i suoi film, e non si deve pubblicare quello che scrive? Raccomando cautela; perché allora si dovrebbe essere coerenti: la lista degli inguardabili e degli illeggibili non si ferma certo alla “A” di Allen.
Con immutata stima e ammirazione.