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Trump, la Russia, la CNN e il ricatto delle “fake news”

Le accuse del presidente eletto contro la CNN sono un ennesimo attacco alla libertà d'informazione

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
donald trump

Il Presidente USA, Donald Trump

Time: 4 mins read

“You are fake news”. Così  Donald Trump si è rifiutato, durante la sua prima conferenza stampa da presidente eletto, di concedere una domanda al giornalista della CNN, Jim Acosta. Perché la CNN sarebbe un produttore di “notizie false?” Perché martedì sera ha dato la notizia sull’esistenza di un rapporto segreto in cui si sostiene che il governo russo avrebbe collezionato delle informazioni compromettenti su Trump con le quali lo avrebbe potuto ricattare. Ma la CNN, ha anche informato il pubblico che la CIA e l’FBI, dopo essere venute in possesso del rapporto, hanno ritenuto tale documento (anche se le informazioni contenute sono ancora tutte da provare) abbastanza serio da includerne un sommario nel briefing che qualche giorno fa era stato presentato sia al presidente Barack Obama che al Presidente eletto Trump sulle interferenze russe nelle elezioni americane.

Fake news? Notizie false?

Le informazioni contenute in questo rapporto segreto di 35 pagine, che sarebbe stato commissionato all’inizio da un gruppo di politici repubblicani rivali di Trump ad un ex agente segreto britannico con fonti “attendibili” in Russia, per cercare legami “pericolosi” tra Trump e Putin, non sappiamo ancora quanto siano vere o false. Possono essere tutte false. Possono esserlo parzialmente false. Potrebbero essere una trappola, ma sicuramente il rapporto è stato giudicato comunque così importante per i servizi segreti americani, dato che ne hanno inserito un sommario nel briefing al presidente e al presidente eletto, perché se fosse stato considerato semplice “fake news” (notizie inventate) non lo avrebbero di certo inserito nel briefing.

Quindi Donald Trump, lo stesso personaggio che per anni ha organizzato un’ intera campagna denigratoria contro il presidente Barack Obama affermando che non fosse nato negli Stati Uniti e quindi fosse ineleggibile per la Casa Bianca, afferma che la CNN produce “fake news” quando questa non censura la notizia che la CIA ha inserito un sommario di due pagine, su un rapporto di 35 pagine (e che l’FBI starebbe ancora investigando), e che sarebbe stato composto da un ex agente segreto del M16 britannico raccogliendo da “attendibili” informatori russi, le notizie ed elementi (si parla anche di video) “compromettenti” su come il governo russo fosse in grado di ricattare Donald Trump.

Il presidente eletto Trump, durante la conferenza stampa, ha attaccato il sito Buzzfeed e CNN allo stesso modo, equiparandoli. Ma, mentre Buzzfeed, un sito  schierato apertamente contro Trump,  ha effettivamente pubblicato tutto il documento segreto di 35 pagine con le informazioni ancora tutte da verificare che il Cremlino avrebbe in possesso – e che intanto oggi ha smentito di possedere – per ricattare Trump , la CNN non ha mai accennato nei dettagli al contenuto di quei documenti. Ha soltanto avvertito il suo pubblico – prima di qualunque altro media, compreso il New York Times che pur avendo da tempo le stesse informazioni, secondo noi ha peccato di troppa prudenza – della notizia dell’esistenza di questo documento. Questa non è affatto “fake news”, perché una sintesi del documento è stato effettivamente presentato a Obama e a Trump dalla CIA. Altro che “fake news”, la CNN ha fatto il suo dovere. Semmai sono gli altri network e giornali, che inspiegabilmente hanno ritardato nel darla la notizia, a non avere agito come ci si aspetterebbe, in democrazia, da un media libero e protetto dal First Amendament della Costituzione USA.

La reazione di Trump e del suo portavoce Sean Spicer , nei confronti della CNN durante la sua prima conferenza stampa, ci conferma quanto dal venti gennaio sarà, come ha mirabilmente avvertito Meryl Streep recentemente,  importantissimo che i mezzi di informazione americani compino il loro dovere e non si lascino condizionare  dalle minacce e dall’atmosfera intimidatoria che l’amministrazione Trump sta cercando di instaurare nei confronti dei media. Negli Stati Uniti che durante la guerra del Viet Nam, grazie alla stampa protetta dalla Corte Suprema, si potevano rivelare al pubblico “The Pentagon Papers” e lo scandalo del “Watergate”, ora siamo passati, mezzo secolo dopo, ad assistere ad un presidente eletto che non concede la domanda al giornalista della CNN, additandolo portatore di “fake news”, e poi al suo “mastino” che minaccia il giornalista Acosta che la prossima volta sarà buttato fuori dalla conferenza stampa.

Anche noi restiamo scettici sulla veridicità  del contenuto dei rapporto segreto che avrebbe dato ai russi le informazioni per ricattare Trump (importante notare che durante la conferenza stampa Trump ha per la prima volta ammesso che anche per lui ci sarebbe dietro la Russia nell’ organizzazione della distribuzione a Wikileaks di email sottratti alla campagna di Hillary Clinton durante le elezioni). Ma informare i cittadini americani della esistenza di questo documento, una volta che la stampa era venuta a conoscenza che la CIA lo aveva inserito in un briefing presentato allo stesso Trump e al presidente Obama, fa parte dei doveri di qualunque mezzo di informazione giornalistica. “Fake news”, semmai, sono il prodotto di quei mezzi di informazione che, una volta saputo dell’esistenza di una notizia così importante, non l’hanno diffusa immediatamente, lasciando la CNN isolata e bersaglio di una amministrazione Trump che, soprattutto in materia di libertà di stampa, ci appare sempre più pericolosa.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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