Immaginiamo che il comandante di un aereo si senta improvvisamente male nel bel mezzo di un volo transoceanico e debba essere rimpiazzato dal secondo pilota.
Il tempo è bello; il cielo è sereno; non ci sono turbolenze a disturbare il passaggio di consegne e, grazie a queste condizioni favorevoli, la transizione avviene senza particolari problemi.
Alla fine del viaggio, i passeggeri sono chiamati a dare un parere sul volo e sulla competenza del personale di bordo.
Dal momento che tutto è andato per il verso giusto, i pareri sono per lo più positivi e i commenti sulle capacità del copilota che ha sostituito il comandante sono buoni.
Ammettiamo ora che la stessa cosa accada su un altro volo dove però, a differenza del primo, l’aereo si trovi nel bel mezzo di una bufera e che il comandante, prima di accusare il malore, abbia perso il controllo del velivolo.
I passeggeri sono in preda al panico ma, fortunatamente, una volta assunti i comandi, il secondo pilota riesce, con uno sforzo eccezionale, a ristabilire l’assetto dell’aereo, a riportarlo sulla rotta giusta e ad atterrare senza problemi all’aeroporto di destinazione.
Se ci venisse chiesto di fare un paragone sulle capacità aviatorie dei copiloti nei due esempi, pur senza essere degli esperti di aeronautica, saremmo propensi a giudicare più positivamente il secondo viste le condizioni di estrema difficoltà a cui è riuscito a porre rimedio.
Ho fatto questi esempi per mettere in evidenza un fattore importante nelle intenzioni di voto che decideranno le elezioni di novembre: la valutazione della situazione economica del paese che, assieme ad immigrazione ed aborto, sembra essere tra le più rilevanti per gli elettori.
Una ricapitolazione veloce e superficiale della situazione finanziaria americana dagli anni 80 ad oggi mette in evidenza alcuni dettagli interessanti: nel 1979, ultimo anno dell’amministrazione Carter, il deficit di bilancio degli Stati Uniti era pari all’ 1,55% del Prodotto Interno Lordo.
Nel 1992, dopo i dodici anni delle amministrazioni repubblicane Reagan e Bush Senior caratterizzati da tagli alle tasse (che favoriscono le classi agiate del paese), liberalizzazione economica ed aumento delle spese militari, lo scompenso tra deficit e PIL è salito a 4.45%.
I due successivi mandati democratici di Bill Clinton, hanno riportato i conti pubblici in attivo: nel 2000 infatti, ultimo anno di Clinton alla Casa Bianca, questo attivo ammontava al -2.3% del rapporto deficit/ PIL.
Un surplus rapidamente annientato dal successore repubblicano, George Bush Junior, grazie ai soliti sgravi fiscali per i ricchi, alle spese militari dovute alla guerra in Iraq (iniziata su false premesse) e alla catastrofica crisi economica del 2007-09 causata in gran parte da quella liberalizzazione dei mercati finanziari tradizionalmente favorita dai conservatori (ma attuata anche con la complicità di Bill Clinton).
Proprio in seguito a questa mega-recessione ereditata al momento della sua elezione, gli otto anni di Barack Obama alla Casa Bianca sono iniziati in un a situazione difficilissima. Infatti potremmo dire che Obama si è trovato nelle stesse condizioni del copilota che assume il controllo dell’aereo in caduta libera (con un rapporto deficit/ PIL del 9,7% nel 2009) ma riuscendo a riportarlo gradualmente in una situazione di stabilità ( 2,4% nel 2015 malgrado l’ostruzionismo dell’opposizione repubblicana abbia rallentato la ripresa).
Nel 2016 infatti, l’anno dell’elezione di Donald Trump, l’economia americana proveniva da un periodo di 5-6 anni di costante crescita e, di conseguenza, l’elezione di Trump è paragonabile a quella del copilota del primo aereo che sostituisce il comandante mentre il tempo è bello e privo di turbolenze.
Nel 2020 la situazione cambia radicalmente con l’arrivo della pandemia e la drastica recessione che investe l’America e il mondo.
Ancora una volta, il nuovo presidente democratico, Joe Biden, si è ritrovato nella “cabina di comando di un aereo in picchiata” (rapporto deficit /PIL al 14.7%!…) e ha dovuto farsi in quattro per “riprendere quota” dimezzando il deficit (6,2% nel 2023) e assicurando agli Stati Uniti la migliore ripresa economica del periodo post-pandemico rispetto a quella di tutti gli altri paesi industrializzati.
I periodi di reggenza economica delle varie amministrazioni si compongono di eventi voluti, cioè che fanno parte del loro programma politico attuato intenzionalmente, e di altri che sono del tutto imprevedibili e che forzano i politici ad adeguarsi a nuove situazioni che emergono spesso in maniera improvvisa e distruttiva.
Ovviamente la pandemia è stato uno di questi: un evento del tutto imprevedibile che ha avuto un impatto estremamente negativo sull’economia globale e per la quale non si può accollare la colpa a Trump.
Ma prima che l’emergenza pandemica esplodesse in tutta la sua gravità, Donald Trump aveva già creato un buco gigantesco nel bilancio dello stato (7.8 trilioni di dollari aggiunti al debito pubblico) grazie ai tagli alle tasse che restano il fulcro centrale di ogni politica economica repubblicana e che, in ogni sistema fiscale progressivo, favorisce i ceti più ricchi.
Prima di lui, George W. Bush aveva fatto la stessa cosa prima tagliando le tasse e creando un enorme buco di bilancio e poi dovendo fronteggiare due emergenze impreviste: gli attacchi dell’11 settembre (con relative guerre in Afganistan ed Irak) e la mega-crisi dei mercati immobiliari del 2007-09. Eventi che hanno entrambi forzato la mano della gestione finanziaria del paese peggiorando così di gran lunga il debito pubblico.
I presidenti democratici che si sono succeduti negli ultimi trentacinque anni invece, si sono ritrovati tutti a dover rimediare ai disastri finanziari ereditati dai loro predecessori repubblicani e, in questi periodi di gestione democratica, i conti del paese sono sempre migliorati rispetto alla situazione iniziale che si sono trovati a dover affrontare la momento del loro insediamento.
Malgrado questo regolare alternarsi di disastri repubblicani e rimedi democratici che si sussegue ormai da decenni, lo stereotipo politico americano è che, sulle questioni economiche, l’elettorato tradizionalmente ripone maggiore fiducia nel GOP.
Perché??!…
Se presentassimo i fatti qui esposti ad un elettore indipendente, ci sentiremmo quasi certamente rispondere che i due partiti sono egualmente colpevoli: i repubblicani sono fiscalmente irresponsabili perché impoveriscono le finanze pubbliche tagliando le tasse mentre i democratici tendono ad incrementare in maniera sconsiderata la spesa pubblica.
Anche volendo ipoteticamente ammettere che questo è vero quali sono gli effetti tangibili e concreti sulla qualità della vita della maggior parte della gente?
Pur ammettendo che da molti anni a questa parte ad entrambi i partiti piace spendere in maniera sfrenata, la differenza nel modo in cui spendono è rilevante: la spesa favorita dai democratici è più simile a quello che in un’azienda del settore privato viene considerato un investimento, vale a dire spendere adesso per riscuotere in maniera più cospicua in futuro.
Investire danaro pubblico per assicurare assistenza sanitaria a coloro che ne sono privi (come ha fatto Obama), costruire infrastrutture (come ha fatto Biden), assicurare l’accesso gratis o quasi alle università pubbliche fornendo un’istruzione superiore a coloro che altrimenti non avrebbero potuto permettersela (come ha proposto Bernie Sanders) sono iniziative che, nel lungo periodo, aumentano le opportunità di crescita del capitale umano, dell’economia e della collettività.
In un sistema fiscale progressivo invece, tagliare le tasse, come amano fare i repubblicani per assecondare gli interessi delle classi agiate, è come dare un bel bonus agli azionisti di un’azienda. Un bonus che arricchisce ulteriormente la minoranza già benestante facendo poco o nulla per tutti gli altri.