Mentre in Italia, come al solito, si gioca e si litiga esclusivamente perché i 5 Stelle con in testa Paola Taverna e Roberto Fico, vogliono garantirsi la terza elezione, il mondo va avanti. E va avanti, in primis, proprio alle nostre porte: quel Mar Mediterraneo dove per collocazione geografica ed esigenze economiche dovremmo esercitare un ruolo molto attivo.
In Libia assistiamo passivi al Governo di Abdul Hamid Dbeibah che era stato nominato per gestire la fase di transizione verso le elezioni e dall’altra parte, a Tobruk, c’è Fathi Bashagha, ex ministro dell’Interno nominato da poco dalla Camera dei rappresentanti libica in risposta al nuovo fallimento del governo di transizione nell’organizzare le elezioni.
Nel frattempo Macron, con l’inviato in Libia Paul Soler, ex comandante del 13esimo Parachute Dragon Regiment e dell’intelligence, che aveva collaborato all’operazione a sostegno dell’insurrezione popolare contro Muammar Gheddafi nel 2011, si era ben posizionato per ampliare gli interessi di casa propria. In Siria la Russia ha consentito al presidente Bashar al-Assad la riconquista del nord della Siria.
Come se non bastasse, Mosca ha il potere di trattare con Erdogan, a cui garantisce molte cose. Sembra incredibile che il Cremlino possa vendere a un Paese della Nato un sistema missilistico progettato per abbattere aerei dell’Alleanza atlantica. Ma c’è ancora di più: infatti fra l’Iran e l’Arabia, Washington parla solo con Riad mentre Mosca con tutte e due. Lavrov, ministro degli Esteri di Mosca, tratta con Israele, Hamas ed Hezbollah. Putin, una volta, era il garante del regime siriano, mentre adesso è diventato il salvatore pure del popolo curdo.

Se si gira la testa verso Teheran si scopre che, mentre le telecamere sono mirate su Kyiv, l’Iran ha spento tutte le telecamere installate dall’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) nei siti nucleari iraniani per controllare il rispetto degli accordi.
Tranne che in Italia, molti si sono accorti che Cipro è diventata l’ultima frontiera del gas europeo. Infatti da lì dovrebbe partire un grande gasdotto, Eastmed, e come col simile, il TAP, dovrebbe approdare in Puglia. Ma i tempi e i modi restano ancora lontani, infatti è dal dicembre del 2020 che il Consiglio ed il Parlamento europeo hanno approvato il gasdotto Eastmed nel regolamento TEN-E, che segnala i progetti strategici da finanziare per il settore energetico europeo. Inoltre c’è anche il noto gasdotto Melita, che dovrebbe collegare Gela in Sicilia a Malta. E, purtroppo, non bisogna mai dimenticare che esiste una profonda e storica frattura fino ad ora insanabile tra Turchia e Cipro, che è confermata dalla divisione dell’isola in due precise entità nazionali distinte tra loro dal lontano 1974.
In tutto il Mediterraneo, la Turchia sta perseguendo, da tempo ormai, in tutte le direzioni per tenere e rafforzare i propri interessi nazionali che non coincidono mai, ovviamente, con quelli europei e quello italiano in particolare. A muovere Ankara, sono ambizioni da medio potenza con l’obiettivo di rappresentarsi come il vero e unico protettore dell’Islam politico ma, soprattutto, il desiderio di accreditarsi come il soggetto strategico che regola i flussi energetici dalla Russia e di sfruttare a proprio uso e consumo i ricchi giacimenti mediterranei. Il ruolo, a dir poco distaccato, assunto da Washington nella regione del mediterraneo ha finito, poi, per allargagli di molto il campo d’azione.
E così in Libia, dove dopo aver combattuto il generale Haftar in Tripolitania, i turchi hanno dovuto fermarsi alle porte di Sirte bloccati dall’alleata Russia con cui sanno di dover convivere e creando le premesse per una spartizione di fatto del Paese. In tale scenario l’Europa si è presentata divisa, incerta ed insicura tra l’opposizione guidata da Macron che avrebbe voluto imporre una propria “pax mediterranea”, insieme ad una timidezza tedesca e gli inutili tentativi di convivenza italiani in Libia.

Per la terza volta consecutiva il Partito laburista de La Valletta ha vinto le elezioni a Malta, nel marzo scorso, conducendo una propria continua strategia politica con la quale da un lato va contro ogni tentativo di sbarco dei migranti e respingendo al mittente i flebili richiami dell’UE e, dall’altro, adottando una politica finanziaria molto aggressiva.
Nel frattempo l’Europa ha iniziato a guardare al gas dell’Egitto ed ha dimenticato i prigionieri politici egiziani. L’oscillante ambiguità dell’UE è ancora più preoccupante, dato che per non acquistare più il gas russo ha deciso di chiudere gli occhi davanti alle continue violazioni dei diritti umani. La necessaria ed obbligata spregiudicatezza europea la si è vista alla firma dell’accordo a tre dello scorso 15 giugno al Cairo alla presenza sia di Ursula von der Leyen, sia del ministro dell’Energia egiziano Tarek el Molla e dell’israeliano Karen Harar. L’accordo consentirà di trasportare in Egitto il gas israeliano che sarà liquefatto per essere inviato in Europa con navi cisterna.
L’Algeria ha sempre appoggiato il Governo di Tripoli riconosciuto dall’ONU mantenendo, però, una forte neutralità ed attaccando ogni coinvolgimento da parte dell’Egitto. Nel frattempo Algeri ha chiesto di riaprire il tavolo delle trattative con l’Italia per rivedere il prezzo d’acquisto del gas con l’accordo dello scorso 21 aprile.
Il lontano ricordo della “primavera araba” sta portando la Tunisia in una nascente autocrazia con un’economia sempre più fortemente in crisi. La crisi politica in corso si è intensificata dopo che il presidente, Kais Saied, ha sciolto il Parlamento presieduto dal suo principale rivale, il leader del partito islamico, Rached Ghannouchi. Nel frattempo l’UE si sbrodola in inutili e melense dichiarazioni come quella dell’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza: “Chiediamo il ritorno, quanto prima, al normale funzionamento delle istituzioni e continueremo a seguire da vicino le varie fasi di attuazione del calendario politico approvato nel dicembre 2021”.

Per completare il quadro non si può dimenticare il Libano che con la fuga di circa 1,4 milioni di rifugiati siriani in un Paese molto piccolo, con meno di 5 milioni di abitanti, infrastrutture carenti e un mercato del lavoro sempre meno sano, non ha fatto altro che aggravare la già preoccupante situazione e dove l’esplosione al porto di Beirut ha scosso ed abbattuto un paese già martoriato con una crisi economica di dimensioni immane.
In tutto questo l’Italia, col suo ministro degli Esteri sta a guardare, indecisa come non mai. Forse un briciolo di speranza sta nel recente accordo commerciale ad Ankara fra Draghi ed Erdogan ma, come dicevo, è ben poca cosa. Infatti l’Italia si dovrebbe convincere a ritornare ad essere la medio potenza che era qualche decennio fa nel mare Mediterraneo senza la quale il Paese è destinato a scomparire.