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May 25, 2022
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La concorrenza mondiale dei giganti del web frena l’agenda digitale Ue

L'Europa sotto ricatto delle multinazionali USA mentre la Cina ha già sviluppato i suoi anticorpi

Massimo GagliardibyMassimo Gagliardi
Mark Zuckerberg vuole l’Italia nel suo Metaverso

Facebook CEO Mark Zuckerberg - ANSA/AP Photo/Marcio Jose Sanchez

Time: 3 mins read

Il 3 febbraio scorso il presidente Mattarella si presenta alle Camere dove tiene il discorso di insediamento per il suo secondo mandato. Tra le altre, pronuncia questa frase:
“Poteri economici sovranazionali tendono a prevalere e a imporsi aggirando il processo democratico”.

A chi si riferisce il presidente? Toccherà al professor Sabino Cassese, suo grande amico, sciogliere l’enigma: “Il presidente si riferiva a Facebook”. E spiega che a marzo 2020, Zuckeberg in un’intervista aveva detto: “La mia impresa è molto più simile a uno Stato che a un’azienda. Io stabilisco un dialogo tra 3,5 mld di persone e le loro élites”. Il commento di Cassese: “Abbiamo dunque un’azienda che dichiara di essere uno Stato. Ma non è eletta dai cittadini”.

Ebbene cosa fa la Ue in tema di sovranità digitale? Tanto, ma nulla di strategico.
Esiste un Google-Ue? No. In Cina esiste, il suo equivalente è Baidu.
Esiste uno Youtube-Ue? No. In Cina esiste, si chiama Youku.
Esiste un’Amazon-Ue? No. In Cina esiste, si chiama Alibaba.
Esiste un Twitter-Ue? No. In Cina esiste, si chiama Weibo.
Tutte società nate tra la fine dei Novanta e i primi Duemila.

Anche se questi grandi gruppi sono nati su iniziativa di privati, si dirà che la Cina se lo può permettere perché ha un mercato di un miliardo e mezzo di persone. Ma allora perché non le può fare l’Europa che ha una popolazione maggiore degli Usa? Semplice, perché la Ue, e i suoi imprenditori, non hanno mai voluto. Per vari motivi. Uno è stato che “il sistema economico italiano ed europeo – spiega Renzo Avesani, esperto di rischi e innovazione, già consulente del FMI – è cresciuto pensando che l’IT fosse ancillare rispetto al business e quindi dato in outsourcing. La battaglia dei dati è persa. Invece di essere competitiva, la Ue ha preferito regolamentare”. E questa della regolamentazione è la cifra dell’atteggiamento europeo sul tema. “Le regole sulla concorrenza, sul diritto d’autore, sulla privacy – sostiene Giovanni Collot, collaboratore di Limes – mirano a creare uno spazio di tutela dei cittadini europei, ma non siamo ancora stati capaci di sviluppare un equivalente di Google o di Meta”. Insomma siamo fortissimi in giurisprudenza e filosofia, molto meno in tecnologia.

Il risultato? 7 febbraio scorso, Zuckeberg avverte la Commissione di vigilanza statunitense che “se la Ue non ci permetterà di trasferire i dati dei nostri utenti europei negli Usa, spegneremo Facebook e Whatsapp nel Vecchio Continente”. Come chiamarlo, se non ricatto? E non sarebbe la prima volta. Quando nel febbraio del ’21 l’Australia ha imposto ai giganti del web di pagare gli editori che producono le notizie poi diffuse sui social, Facebook ha oscurato il comparto news. Dopo un mese l’accordo. Zuckberg come Putin?

Vi risparmio tutto l’annoso contenzioso sulla tassazione degli Over the top (Ott) in Europa. Con il sistema definito da Alec Ross del “doppio irlandese con panino olandese”, Google ha pagato per vent’anni lo 0,7 di tasse sui ricavi. Adesso, con la Global minimum tax saliranno al 15 per cento. Pur sempre un guadagnone. E dire che il mercato europeo dell’Ict vale il 20 per cento di quello globale per una cifra che si aggira attorno ai mille miliardi sui 4.500 totali.

Dopo il crollo dell’Urss, le aziende Ict Usa chiusero in Europa e se ne andarono in Cina. “Grandi sistemi informativi, software di gestione di infrastrutture informatiche, piattaforme applicative per finanza, industria, trasporti e pubblica amministrazione – ha scritto Paolo Germano – vedono la Ue in grave ritardo”. Possibile che a Bruxelles nessuno se ne accorgesse? La Ue ha cercato di invertire la tendenza con Agenda digitale, Mercato unico digitale, Strategia 2020. Ma, ancora nel 2012, Neelie Kroes, commissario Ue per l’agenda digitale, diceva: “Investendo così poco saremo schiacciati dalla concorrenza mondiale. È una vergogna”. E così è accaduto.

Nello stesso 2012, al tavolo di Horizon per distribuire un bilancio europeo pluriennale di 80 mld, sedeva Michele Colajanni, ordinario di Ingegneria informatica Unibo. “Chiedevamo otto miliardi, ma ci ridevano in faccia. Oggi li prenderei a ceffoni. La Ue si è distratta”. Solo distratta? Chiedete a Soshana Zuboff. “Zuckeberg e gli altri – scrive ne – Il capitalismo della sorveglianza – pagano migliaia di esperti, docenti e personaggi vari in Usa e Europa”. Una lobby, potentissima e ramificata che ha la sola missione di bloccare, ostacolare qualsiasi provvedimento governativo che colpisca le Ott. La stessa Zuboff ha coniato il termine di “predittività” secondo cui alle Ott non basta più prevedere i nostri comportamenti, li vogliono plasmare. Il caso Cambridge Analityca avrà insegnato qualcosa.

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Massimo Gagliardi

Massimo Gagliardi

Massimo Gagliardi, attualmente docente al Master di giornalismo dell'università di Bologna, è stato vicedirettore de il Resto del Carlino dove, in 25 anni, ha ricoperto gli incarichi di capo degli Interni, capo dell'Economia e due volte Capo della Cronaca. Precedentemente aveva lavorato in Mondadori, per otto anni, e al Messaggero di Roma.

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