Il World Economic Forum è una fondazione senza fini di lucro con sede a Cologny, vicino a Ginevra, in Svizzera. Nata nel 1971 per iniziativa dell’economista Klaus Schwab, si tiene annualmente nella piccola Davos, sulle Alpi svizzere.
Il WEF è governato da un Board of Trustee ed è sempre presieduto dal suo fondatore. Spesso è stato considerato da molti come un vertice esclusivo ed inaccessibile, con molti sospettosi detrattori che, negli anni, gli hanno attribuito di tutto e di più. Il WEF di Davos finalmente riapre le porte nell’inconsueta versione di maggio, dopo il lungo stop dovuto alla pandemia. In Svizzera si avverte in piena consapevolezza di vivere uno dei momenti più cruciali e pericolosi della storia mondiale.
Il momento è cruciale in quanto tutti insieme, in un vortice, confluiscono problemi come un’inflazione altissima, una forte lotta fra Cina, Russia e Stati Uniti, senza dimenticare una globalizzazione quasi distrutta, una guerra in piena Europa, una grave crisi energetica ed una forte crisi climatica. Non a caso nel documento ufficiale di presentazione si avverte che ci “si riunisce nel momento geopolitico e geoeconomico più consequenziale degli ultimi tre decenni e sullo sfondo di una pandemia irripetibile.” A cui Schwab ha aggiunto che c’è troppo debito, troppa inflazione, troppa disuguaglianza e una crescita molto insufficiente.
Si prevede la presenza di oltre 2.000 partecipanti con un tema centrale: “La storia a un punto di svolta: politiche governative e strategie di business.”
In questo complesso e preoccupante scenario, i temi del WEF saranno 8: clima e natura; economie più giuste; tecnologie e innovazione; lavori e competenze; migliorare gli affari; salute e sanità; cooperazione globale; società ed equità. A partecipare saranno non meno di 50 capi di Stato e di Governo. Tra questi il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, il presidente israeliano Isaac Herzog, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, il commissario Paolo Gentiloni, la BCE con Christine Lagarde, l’inviato speciale per il clima del presidente USA, John Kerry, e il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg.
L’Italia, invece, sarà rappresentata da Daniele Franco per l’economia, Roberto Cingolani per la transizione ecologica, Vittorio Colao per l’innovazione tecnologica e transizione digitale, con Enrico Giovannini per le infrastrutture e mobilità sostenibile. Nel settore privato, ci saranno Andrea Illy per la Illy Caffè, Paolo Merloni per il gruppo Ariston, Silvia Merlo per la Saipem, Domenico Siniscalco per Morgan Stanley, Stefano Scabbio del gruppo Manpower, Francesco Starace per Enel ed Andrea Sironi per le assicurazioni Generali. Chi mancherà sarà il presidente Vladimir Putin che è stato spesso ospite a Davos accompagnato dai miliardari russi.
Chissà che non possa venire da Davos una spinta verso una tregua in Ucraina, visto che il padrone di casa, Klaus Schwab, aveva definito “essenziale” la voce di Vladimir Putin ed era stato un forte sostenitore del fatto che il dialogo con l’élite russa fosse necessario per porre le basi di un mondo più ricco e pacifico. Anche perché il Forum di Davos ha sempre avuto come propria filosofia il fatto che la comunicazione tra leaders politici ed economici, lo scambio di idee, l’interdipendenza e i liberi commerci sono la chiave per un mondo più prospero.
Ma, come ha scritto di recente il New York Times, molti dei princìpi di cui Davos è stato per anni il portatore – ovvero la globalizzazione, il liberalismo, il capitalismo di mercato e la democrazia rappresentativa – sembrano essere molto in affanno.
Tutte queste problematiche potrebbero rendere il Forum di Davos differente dalle edizioni degli anni passati, e farlo diventare il collettore di alcune ipotesi per uscire da tutte queste problematiche. In caso contrario, una recessione planetaria potrebbe quasi sicuramente scoppiare ed espandersi con conseguenze nefaste per tutti sono troppi, infatti, i rivolgimenti geopolitici e geoeconomici.
A Davos si gioca una vitale partita planetaria vedremo, alla conclusione dei lavori, se saranno stati in grado di tracciare una qualche via d’uscita.