Altiero Spinelli fu uno degli autori del Manifesto di Ventotene, uno dei primi documenti a sostegno della creazione di un’Europa unita e di una costituzione europea. “Per un’Europa libera e unita“ era il titolo originale, ovvero uno dei testi fondanti dell’Unione europea, che nacque con l’idea europeista di una rivoluzione democratica d’Europa, di creare una vera federazione europea ispirata ai principi di pace e libertà.
Di tutto questo rimane ben poco e ce ne accorgiamo proprio oggi schiacciati fra due grandi crisi: la pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina, in cui il Vecchio Continente dimostra tutta la sua inconsistenza. L’UE sulla pandemia ha zigzagato con decisioni quasi sempre nazionali, sul piano degli investimenti per il vaccino avrebbe dovuto prendere esempio da quello che facevano gli USA e la piccola Israele, sulla questione Ucraina anche qui è in atto una lotta intestina fra chi è più filo-USA e chi lo è meno, quando il problema è totalmente diverso. Si assiste impotenti alla scarsa efficacia di decisioni che per essere partorite abbisognano di lunghe e serrate riunioni in cui si deve raggiungere l’unanimità dei 27, cosa più facile a dirsi che a farsi ed in cui ognuno va per la sua strada.
Improvvisamente ci si rende conto che in questi casi occorrerebbe avere un unico esercito ed un’unica politica estera e, per dimostrare l’assenza di una reale Europa unita, ci pensa la Germania che dichiara di voler aumentare le proprie spese militari per 100 miliardi di euro quando, per due decenni, da Clinton a Trump, si era sostanzialmente opposta di portare le spese militari all’interno della Nato al 2% del PIL.
Ma veniamo al drammatico momento che, fino ad ora, pare non essere avvertito per nulla dagli Stati dell’Unione: la propria questione economico-finanziaria. Sono più di 10 anni che c’è una guerra fra la BCE e la Bundesbank che viene tenuta nascosta, con la complicità dei media, dietro dichiarazioni di facciata e provvedimenti che non risolvono ma procrastinano nel tempo le importanti e radicali decisioni che andrebbero adottate.
Per anni il governatore della Bundesbank ha sventolato prima a Jean-Claude Trichet, a Mario Draghi dopo e a Christine Lagarde oggi l’assurdo e sbagliato statuto della BCE, che vieta qualsiasi forma di curare con la monetizzazione dei debiti le problematiche di bilancio dei vari Paesi e pone come obiettivo primario, se non unico, il controllo dell’inflazione al 2%. Alla fine si decise di scopiazzare e male quello che aveva già fatto la Federal Reserve.
Oggi per fare una fotografia del totale abbandono del timone di un’unica politica monetaria e finanziaria europea siamo arrivati ad annunciare, attraverso la Lagarde, la fine a breve del “quantitative easing” senza spiegare cosa si ha in seguito intenzione di fare. Nel frattempo la BCE è paralizzata ed assiste ad un’inflazione che è schizzata al 7,5% nell’euro zona, dicendo che è un fenomeno transitorio, la qual cosa va in controtendenza su quanto già fatto da altre banche centrali che hanno già innalzato i tassi di interesse come gli Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna su tutti.
Nel frattempo sui rischi che corrono i conti dei Paesi che si affacciano sul Mare Mediterraneo per ora nessuno se ne preoccupa o addirittura se ne avvede, nemmeno i diretti interessati ma, soprattutto, perché la Germania non vuole. Il combinato disposto di tutto questo “non fare” ha prodotto la forte svalutazione dell’euro di cui, anche qui in Europa nessuno parla, e che ha fatto scivolare la quotazione a $ 1,08 ad oggi da 1,17 e addirittura al Fr.Ch a 1,03. Le opzioni tedesche accettate ed adottate si sono rivelate errate ed hanno generato proprio quello che dicevano di voler combattere cioè la monetizzazione dei debiti, un’alta inflazione e fiscalmente un disordine che definire tale è poco.
Quello che ancora alla Bundesbank non hanno proprio compreso è che se la Banca centrale europea non difende dagli attacchi totalmente speculativi dei debiti sovrani dei suoi componenti, l’euro corre rischi di essere travolta. Nel frattempo i mercati, ma anche i piccoli risparmiatori hanno investito Berna e i suoi Cantoni di un fiume di valute riconvertite in franchi svizzeri e, cosa ancora più grave, l’acquisto del miglior bene rifugio: l’oro. E quando parte la corsa all’oro vuol dire che la situazione è molto, ma molto seria.
Il Governo tedesco ha dovuto rivedere completamente le stime di crescita del PIL da +4,6% a un +1,8% per il 2022 ma non è detto che toccherà rivederlo ad un maggior ribasso. In più Berlino ha dovuto rinnegare i piani su North Stream 2, il gasdotto russo che attraversa il Mare del Nord e che era stato completato nell’autunno scorso, restando solamente in attesa delle autorizzazioni tedesche che, per la crisi Ucraina, non sono potute arrivare. Lo stop al gas e al petrolio di Mosca minaccia molto l’intera economia tedesca che ha sempre agito da locomotiva d’Europa.
La stagflazione è dietro l’angolo per la Germania e, di conseguenza, per l’intera Europa, per questo il cancelliere Olaf Scholz ha battuto molto i pugni sul tavolo nelle sedi internazionali contro l’ipotesi di un embargo energetico ma le pressioni americane si fanno sempre più forti.