Friedrich Heinemann, economista tedesco presso il Centro per la ricerca economica europea (ZEW), ha ricordato ai popoli del sud Europa che “Le speranze dell’Europa meridionale che la Bundesbank potesse sostenere acriticamente acquisti illimitati di obbligazioni sono ormai finite“.
Una vera e propria dichiarazione di guerra contro il Sud Europa e tutto ciò mentre i media italiani si accoccolavano ai piedi del nuovo Cancelliere in visita da Draghi. La prima nomina, forse quella più importante, del cancelliere socialista Olaf Scholz per sostituire il dimissionario falco Jens Weidmann collocando un socialista alla guida della Banca centrale tedesca in sostituzione del democristiano precedente. Gli ingenui in Italia gridavano allo scandalo anni fa e maledicevano l’applicazione del “manuale Cencelli” che non si chiamerà così in Germania ma che ha, giustamente, le stesse condivisibili applicazioni: chi vince nomina.
Joachim Nagel, nel frattempo, è diventato il nuovo presidente della Bundesbank. Nagel ha un buon CV e nel 2017 è passato al consiglio di amministrazione della Banca di sviluppo statale Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW), poi nel 2020 alla BRI, la Banca dei regolamenti internazionali, la banca delle banche centrali con sede in Svizzera. “Una personalità di grande esperienza e sono sicuro che si impegnerà per la continuità della politica monetaria della Bundesbank” così lo ha salutato il falco n.1 nel nuovo governo tedesco il ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner. Chi si faceva illusioni, soprattutto in Italia, che la vittoria socialista portasse ad una giustificata rilettura dei parametri finanziari di Francoforte è servito.
A pochi giorni del varo del Q.E. (quantitative easing) da parte di Mario Draghi, allora alla guida della BCE, le parole di Nagel furono testualmente: “La soluzione del bazooka monetario è un botto che andrà a vuoto” e non soddisfatto di questa prima sparata affermò: “I mercati guardano volentieri agli assegni postdatati, ma se la Bce si lascia convincere, i mercati ne gioiranno nel breve periodo e poi ricominceranno a porre questioni in modo anche più spiacevole. Avrebbero paura che la Germania è messa troppo sotto sforzo con questa soluzione. Dubiterebbero della credibilità della Bce. E avvertirebbero sui grossi rischi che si corrono con questa politica”.
Per fortuna Draghi non si scompose e annunciando il suo famoso “whatever it takes” sconfessò clamorosamente il giovane virgulto della finanza tedesca. Anche qualche anno prima Nagel si era cimentato in previsioni catastrofiche allorchè dichiarò nel lontano 2012 che “La recente politica monetaria espansiva rischia di produrre una nuova bolla speculativa. C’è il pericolo che le banche si assumano rischi che noi vogliamo invece evitare. Per questo è importante che si inizi a parlare di piani di uscita (dall’euro nda), e che lo si faccia capire anche ai mercati. Non è scontato che si prosegua sulla strada percorsa negli ultimi mesi″. Anche stavolta fu totalmente smentito: la bolla da lui prevista non c’è mai stata e l’esperienza ha largamente confutato le previsioni sue e dei banchieri tedeschi, da sempre critici contro le misure di allentamento monetario introdotte da Draghi e poi implementate dalla Lagarde.
Per chi non lo sapesse esiste un protocollo nello statuto del Sistema europeo delle banche centrali, per il quale “i governi degli Stati membri si impegnano a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Bce o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti”. E Lindner invece non se ne preoccupa ed entra a gamba tesa dichiarando alla stampa: “Siamo in tempi di inflazione e per questo è importate avere una politica di stabilità della Bundesbank. Sono certo che Nagel prenderà posizione in questo senso e quindi questo è un buon segnale ai tedeschi e all’Europa”.
Un’interferenza che nessuno, nemmeno qui in Italia, osa denunciare e che fa prefigurare il solito sistema abbastanza arrogante e pretenzioso oltre che spocchioso del governo e dei media tedeschi. La conclusione è di una smisurata e rinnovata arroganza allorchè il neo ministro liberale lancia un segnale bilaterale di avvertimento prima ai tedeschi per rassicurarli, come per dire: state tranquilli che vigiliamo noi sui Paesi del sud Europa, e, dall’altro, all’Europa per comunicarle che loro sono ancora fermi, oltre che duri e puri, sui parametri, totalmente inventati, che perseguitano l’intero vecchio continente e che ha dato benefici, finora, alla sola Germania e ad alcuni piccoli vassalli autodefinitisi “Paesi frugali”.
“L’Europa unita uscirebbe rafforzata se un membro cronicamente malato lasciasse la zona euro almeno temporaneamente”, queste le parole che il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner pronunciò, pochi anni fa, sulla crisi finanziaria della Grecia. Si mise a capo della corrente teutonica di espulsione dall’euro e sparando sulla Grecia allora preparava, appoggiato da certi circoli finanziari e media tedeschi, a dare l’assalto finale all’Italia e ad altri Paesi del mediterraneo. Le domande che ogni lettore si pone a tal riguardo sono tante, ma una considerazione sovrasta le altre: con questo bellicoso atteggiamento di Berlino si spiega il perché l’Europa non si sia ancora federata ma, soprattutto, non conti niente sul proscenio internazionale e ciò non può risolverlo nessuno solo le più importanti nazioni europee. Purtroppo il ritardo culturale e, per certi versi, un po’ razziale che sopravvive in alcune sacche a Berlino continua a frenare la nascita di una grande Europa e, tanto per gradire, Putin le chiude i rubinetti del gas.
Ci permettiamo, con forza, di ricordare a Christian Lindner quali risultati abbia portato la folle cura finanziaria imposta ad Atene: ha pagato con un terzo del Pil, un tasso di disoccupazione salito fino al 28% per attestarsi oggi al 14%, quella giovanile crollò nel 2012 al 50% e nel 2021 viaggia ancora intorno al 30%. Il PIL ellenico è tracollato dai 315 miliardi di euro ad appena 170 quasi la metà della ricchezza nazionale e, come conseguenza, questa cura da cavallo ha prodotto la forte crescita della pressione fiscale, una distruttiva perdita di potere d’acquisto, grossi tagli alle pensioni e più di 500.000 giovani greci scappati all’estero per lavoro. Orbene tutti questi sacrifici hanno risolto almeno il problema greco?
La risposta l’hanno fornita gli artefici della terapia greca: a giugno del 2020 fatta dal fondo di diritto lussemburghese guidato dal tedesco Klaus Regling ha sancito il totale fallimento delle politiche d’austerità che lo stesso Mes aveva voluto imporre ad Atene, pena la chiusura dei rubinetti dei finanziamenti. Il famoso MES (European Stability Mechanism, ESM) ha controllato con un dossier firmato da Joaquin Almunia, ex Commissario Ue all’economia, i nefasti risultati delle scriteriate imposizioni alla Grecia: l’aumento del sommerso, un forte e totale calo degli investimenti privati, fuga di cervelli, una povertà ed una disoccupazione oltre i livelli di guardia, un settore finanziario fortemente ridimensionato e fragile ed infine una totale mancata crescita economica. L’Europa stia attenta perché un falco alla Bundesbank più di Weidmann può produrre ancora più danni.