Un pacchetto di leggi che mira a ridurre l’influenza di Big Tech sul mercato statunitense è passato giovedì in commissione al Senato di Capitol Hill. Si tratta dell’American Innovation and Choice Online Act (AICOA) e dell’Open App Markets Act (OAMA), il cui obiettivo è impedire a colossi del Web come Amazon, Apple e Alphabet (holding di Google) di promuovere indebitamente i propri prodotti a scapito della concorrenza.
16 i senatori a favore e 6 i contrari, il che significa che ora il pacchetto inizierà la fase finale dell’iter legislativo all’aula del Senato. Laddove il via libera in commissione dei due disegni di legge era quasi scontato, dato che proprio in commissione siedono quattro dei co-firmatari repubblicani, il successo finale in aula è tutt’altro che scontato. Incombe infatti il concreto rischio di filibustering in mancanza dei 60 voti bipartisan necessari ad attivare la procedura di cloture, che consente appunto di superare l’ostruzionismo parlamentare dei senatori pro-Big Tech.
In concreto, l’AICOA e l’OAMA prevedono il divieto di pratiche scorrette quali l’utilizzo improprio dei dati personali degli utenti per ottenere un vantaggio competitivo, il pagamento di servizi extra per ottenere un posizionamento più elevato sulle piattaforme di e-commerce, nonché la promozione indiretta dei propri servizi attraverso la manipolazione dei risultati di ricerca. Ad esempio, le norme imporrebbero ad Apple di accogliere altri sistemi di pagamento oltre ad Apple Pay, e impedirebbero ad Amazon di far pagare un’extra ai venditori per far risaltare in primo piano la propria merce rispetto a quella degli altri.
I giganti del Web hanno espresso la loro contrarietà alle due misure. In una lettera inviata da Apple al comitato senatoriale, e riportata dal Financial Times, l’azienda di Cupertino ritiene che a venire avvantaggiate sarebbero “le aziende cattive che attraggono i clienti con malware, ransomware e truffe”. Insoddisfazione è stata espressa anche da Amazon e Google, oltreché dalla Camera di commercio statunitense. Il Progressive Policy Institute, think tank finanziato da Big Tech, ha parlato di “danni irreparabili” al prestigio tecnologico made in USA.