Il Pil doveva essere una semplice statistica per aiutare il governo degli Stati Uniti a uscire dalla “grande depressione” scoppiata nel 1929. Simon Kuznets, così si chiamava l’immigrato russo che sviluppò in quei tumultuosi anni il concetto oggi conosciuto come Prodotto interno lordo e si integrava perfettamente nella politica del New Deal di Franklin Delano Roosevelt e le teorie macroeconomiche di Keynes sulla spesa pubblica statale.
Il Pil fu molto utile durante la Seconda guerra mondiale, ma non era assolutamente in grado di misurare ciò che veramente dovrebbe essere lo scopo principe dell’economia: puntare al benessere umano. Il Pil passò, subito dopo, sotto le ali prorettrici della CIA durante la guerra fredda, per dimostrare la forza e il benessere dell’occidente nei confronti della popolazione dell’URSS e dei suoi alleati.

Oggi invece le pubblicazioni trimestrali delle cifre del Pil hanno preso il sopravvento e in ostaggio tutte le economie del mondo ed è divenuto opprimente nella vita di ogni cittadino. Infatti, oltre a bombardare e a preoccupare il cittadino, viene rapportato al debito pubblico, al deficit e a tant’altro. I governi si sono messi proni a tutti i suoi dettami, incentivando consumi a ogni costo, anche quando ciò significa la distruzione dell’ambiente e l’aumento delle disuguaglianze sociali. I media ovunque lo osannano come l’indicatore principe del benessere di una nazione. Ma cos’è davvero il Pil? Chi ci guadagna quando cresce e chi ci rimette? E pensare che lo stesso suo ideatore aveva messo in guardia a considerarlo come un sacro totem.
In teoria il PIL dovrebbe misurare la ricchezza prodotta in uno specifico arco di tempo in un determinato Paese. La domanda principale che nasce spontanea è: che cos’è la ricchezza? Trovare una risposta se non unica, ma almeno unitaria nel mondo accademico ed economico è cosa quasi impossibile. Se subito dopo si passa a esaminare le contraddittorietà che sono incorporate dentro al PIL il quadro, forse, si chiarirà. Vediamo solo alcune di queste problematicità in sintesi: se in un Paese c’è un terremoto questo fa bene al PIL, perché ci sarà un’opera di ricostruzione con l’immissione di molti capitali.
L’inquinamento dell’acqua potabile anch’esso fa bene al PIL, perché aumenta la vendita di bottiglie di acqua minerale gassata o non e, in alternativa, ci si compra il depuratore per casa. Gli incidenti stradali fanno bene al Pil, perché fanno lavorare i carrozzieri, i medici, gli avvocati e le compagnie assicuratrici. Per non parlare della criminalità, che convince sempre più persone a comprare armi, porte blindate, inferriate e sistemi di allarme e di telecamere a circuito chiuso. La positiva libera concorrenza, invece, che va a beneficio dei consumatori, fa male al PIL come Booking o Air b&b. L’uso e l’abuso indiscriminato che di esso se ne fa non ci fa notare altri aspetti che determinano e producono quella ricchezza di cui si chiedeva la formula unica.

In estrema sintesi, si può dire che è un modello che tiene conto della sola quantità più che della qualità e che è ora di comprendere che servirebbero nuovi sistemi per misurare le performance dell’economia.L’immagine di un vicino futuro sempre più prospero, tecnologico e per tutti è una pericolosa illusione. Siamo in un’era in cui cerchiamo soluzioni “semplici” per cose “molto complesse”.
Chiudo riportando le parole che il 18 marzo 1968 pronunciò Robert Kennedy: “Il prodotto nazionale lordo comprende l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per ripulire le nostre autostrade dalla carneficina. Comprende le serrature speciali per le nostre porte e le prigioni per le persone che le rompono. Comprende la distruzione delle sequoie e la perdita della nostra meraviglia naturale come effetto di un caotico sviluppo. Insomma, misura tutto, tranne ciò che rende la vita degna di essere vissuta. E può dirci tutto sull’America, tranne perché siamo orgogliosi di essere americani, ed è così in tutto il mondo”.
Un modello, quasi un culto di produzione e consumo, che con le rivoluzioni industriali è cresciuto in maniera esponenziale e che ora non riusciamo più nemmeno a controllare, anche se è sempre più evidente che lo dovremmo fare.