Un peso enorme che grava sulle spalle dell’Italia è da alcuni decenni il problema delle corporazioni professionali che purtroppo da sempre, con varie coperture politiche, si sono chiuse a riccio, lasciando fuori della porta il sano principio della concorrenza economica. In Italia molte categorie hanno adottato il sistema Nimby, not in my back yard, e i risultati negativi si vedono.
Fra tutte le decine di corporazioni brilla in assoluto quella delle concessioni demaniali marittime, che risultano essere quasi 30.000. Il primo problema è relativo alle circa 22.000 concessioni che pagano un canone inferiore ai 2.500 euro annui, una vera e propria miseria.
Ad aprile scorso, la Commissione europea ha ricordato al governo italiano, quando c’era in ballo la trattativa sul Recovery plan, che sulle concessioni balneari l’Italia era da anni che disapplicava scientificamente il principio della libera concorrenza e che, col governo Conte 1 e su spinta di Salvini e Di Maio, aveva esteso arbitrariamente e senza alcuna gara un provvedimento di proroga delle concessioni balneari fino al 2034. Conseguenza di tutto ciò è stato l’avvio di una procedura di infrazione in corso, i cui costi si scaricheranno sui contribuenti italiani.

Il vassallaggio di questa operazione nei confronti di un riservatissimo club che da decenni e da generazione in generazione sfrutta e si arricchisce con le coste della Penisola è una questione con cui anche Mario Draghi dovrà fare i conti. I conti con la direttiva Bolkestein infatti erano già riemersi durante la trattativa sul Recovery e Bruxelles non aveva assolutamente cambiato idea al riguardo.
Una cosa è certa: le spiagge sono sempre in mano ai soliti noti in tutte le località costiere.
Non va dimenticato, oltretutto, che in questo settore ci sono spesso e volentieri casi di lavoratori sfruttati su spiagge pagate allo Stato con canoni irrisori. La questione potrebbe essere risolta da Mario Draghi, che avrebbe già dovuto approvare la legge sulla concorrenza in linea coi principi europei e gli impegni presi per ottenere gli aiuti col PNRR.

Lo scorso 23 giugno, un’inchiesta del Fatto Quotidiano constatava che “sui 7500 chilometri di coste italiane è in corso la guerra per il mantenimento dei privilegi acquisiti dagli imprenditori balneari.” Chilometri nei quali i sindaci, legati ad interessi elettorali locali, si sono quasi sempre schierati a favore dei privilegi degli stabilimenti balneari nonostante diverse sentenze dei T.A.R. (tribunali amministrativi regionali) hanno imposto con sentenze di disapplicare la proroga fino al 2034 che viola apertamente la direttiva Bolkestein. In Liguria è in corso anche un’indagine della Corte dei conti per il danno erariale a seguito delle mancate gare per le concessioni demaniali.
Ma il colmo lo si è raggiunto a Bari, dove il sindaco Antonio De Caro ha così commentato la vicenda della spiaggia barese di Torre Quetta, in cui il vecchio gestore “dopo essere decaduto dalla concessione per provate negligenze rispetto al contratto stipulato, dopo aver perso il giudizio con sentenza passata in giudicato, dopo essere stato raggiunto da una misura di interdittiva antimafia disposta dalla Prefettura, dopo non aver prestato la minima collaborazione nell’eliminare gli arredi installati, facendo così anticipare centinaia di migliaia di euro alla collettività”, ha fatto ricorso al TAR e ha bloccato la gara.
L’Italia dimostra, ancora una volta, di essere il Paese del “diritto e……del rovescio”.
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