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September 25, 2021
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Energy Compact alle Nazioni Unite per dar fiato agli UNSDG del 2030: ma si può?

Aiutare i paesi ad attuare le misure per ridurre le emissioni non sarà facile da raggiungere. Per farlo dovrebbero essere stipulati circa 150 “patti energetici"

C.Alessandro MauceribyC.Alessandro Mauceri
Time: 5 mins read

In attesa di sapere quale sarà il futuro della COP26 prevista a Glasgow, Scozia, per il mese di Novembre, aumentano gli incontri nei quali i leader mondiali discutono di ambiente.

Come il dialogo ad alto livello delle Nazioni Unite sull’energia, il primo incontro a livello di leader sull’energia sotto l’egida dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e dell’ UNDP. Si è parlato di 400 miliardi di dollari stanziati da governi e settore privato per aumentare le energie rinnovabili e l’accesso all’elettricità e alle “tecnologie di cottura pulite” che dovrebbe riguardare quasi 800 milioni di persone che vivono in povertà energetica. Obiettivo: consentire il raggiungimento del traguardo più volte annunciato di “emissioni nette zero” entro il 2050. A sottoscrivere l’impegno oltre 35 paesi. I nuovi impegni al vertice delle Nazioni Unite sull’energia sono un passo importante verso un’energia pulita e a prezzi accessibili, ma molto lavoro da fare per dimezzare il divario di accesso all’energia entro il 2025 | Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (undp.org)

Una decisione che ha seguito di pochi giorni l’accorato appello del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha parlato di seri rischi per l’ambiente e dell’impossibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius. E questo anche nel casi in cui i paesi mantenessero gli impegni presi con gli accordi di Parigi. Purtroppo, come confermano i rapporti dell’IPCC e dell’UNFCCC, non si sta facendo abbastanza per evitare le conseguenze disastrose sull’ambiente.

I leader mondiali continuano a fare promesse e a prendere impegni per raggiungere l’obiettivo 7 dei SDGs. Come fissare una tabella di marcia con scadenze fino al 2030 (ma che non è stata ancora resa pubblica: sarà presentata nella sintesi del dialogo dal Segretario Generale). O promettere la graduale eliminazione del carbone come fonte energetica entro il 2030 per i paesi dell’OCSE (ma non prima del 2040 per tutti gli altri). In teoria si dovrebbe smettere di concedere aiuti e sussidi per i combustibili fossili e utilizzare tali somme per progetti sulle energie rinnovabili. Tra gli obiettivi degli Energy Compact, aiutare i paesi ad attuare le misure per ridurre le emissioni non sarà facile da raggiungere. Per farlo dovrebbero essere stipulati circa 150 “patti energetici” tra governi nazionali e attori locali, imprese, fondazioni e organizzazioni internazionali non basterà a risolvere i problemi dell’ambiente. I governi si impegnerebbero anche a fornire elettricità “affidabile” a oltre 166 milioni di persone in tutto il mondo. Ancora maggiore l’impegno preso dalle aziende private che dovrebbero raggiungere poco più di 200 milioni di persone.

A student passes in front of a 150-megawatt wind farm in the Philippines. (ADB/Al Benavente)

Misure, a ben guardare, sottodimensionate o poco efficaci (basti pensare alla popolazione mondiale). Attualmente, quasi 760 milioni di persone non hanno ancora accesso all’elettricità e circa 2,6 miliardi di persone non hanno accesso a soluzioni di cottura pulite. Anche in termini economici i conti non tornano. L’investimento annuale in energia pulita ed efficienza energetica necessaria per raggiungere emissioni nette zero entro il 2050 è stimato in 4,4 trilioni di dollari. Una cifra ben diversa da quella che i leader dei paesi sviluppati hanno promesso di spendere (ammesso che lo facciano realmente). Consumo di energia mondiale | Sorgenia

“Gli impegni derivanti da questo processo guidato da UN-Energy sono un segnale reale di ciò che è possibile”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. “Sono lieto di vedere molti dei principali emettitori – paesi e settori – dimostrare leadership attraverso il processo di dialogo ad alto livello insieme a impegni coraggiosi ad agire”. “L’accesso all’energia pulita e rinnovabile è, molto semplicemente, la differenza tra la vita e la morte”, ha aggiunto. “Dobbiamo risolvere queste sfide in questo decennio”. 

Ancora una volta per comprendere il peso di certe promesse sono fondamentali i “numeri”. I governi si sono impegnati a installare impianti per produrre altri 698 gigawatt (GW) di energia pulita entro il 2030. E le imprese, in particolare le utility energetiche, a installarne ulteriori 823 GW. Ma questi non risolveranno il problema. Secondo l’Agenzia Statistica e Analitica del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti d’America (EIA) il consumo mondiale energia crescerà quasi del 50% tra il 2019 e il 2050. E la crescita si focalizzerà prevalentemente nel settore industriale. Si prevede, infatti, che il consumo di energia nel mondo cresca all’aumentare del consumo di merci. Ma di misure per ridurre le emissioni in questo campo non ha parlato nessuno. Secondo le stime ufficiali, la crescita del consumo totale e mondiale di energia causerà un parallelo aumento – pari al 79% – della domanda e produzione di energia elettrica. Energia che, per molti anni, continuerà ad essere prodotta da fonti fossili. A dimostrarlo sono i recenti investimenti in impianti per distribuire combustibili fossili attraverso l’Europa, o l’uso massiccio di impianti a carbone per la produzione di energia elettrica (specie in Cina) e le nuove trivellazioni in mare. Progetti miliardari che, per essere recuperati, non potranno essere chiusi nel giro di pochi anni.

Guterres ha chiesto di colmare il divario di accesso all’energia entro il 2030. “Ciò significa dimezzare il numero di persone senza accesso all’elettricità raggiungendo 500 milioni di persone entro il 2025. E fornire a oltre 1 miliardo di persone l’accesso a soluzioni di cottura pulite entro il 2025”. Ancora una volta target sbagliato. Questo non farà certo diminuire l’impatto sull’ambiente. Anzi, semmai, produrrà un aumento delle emissioni di CO2 (a meno che qualcuno possa pensare che sarà possibile, entro il prossimo decennio, chiedere ai paesi meno sviluppati di produrre energia pulita con i costi che oggi comporta).

Villagers in the Peruvian village of Sibayo, use a solar-powered spinning machine. (Photo UNDP/Anette Andresen)

“Abbiamo un doppio imperativo”, ha detto Guterres, “Porre fine alla povertà energetica e limitare il cambiamento climatico. E abbiamo una risposta che soddisferà entrambi gli imperativi. Energia accessibile, rinnovabile e sostenibile per tutti”. Ancora una volta appare sbagliato l’approccio al problema. Al mondo i maggiori consumatori di energia (e quindi i responsabili dei maggiori problemi ambientali) sono i paesi industrializzati. A dirlo sono sempre i numeri: nonostante rappresentino solo il 15% della popolazione globale, il loro consumo energetico supera il 50% dell’energia consumata in totale. E tra questi, gli Stati Uniti d’America sono al primo posto per consumo di energia pro-capite: solo negli USA vengono consumate 2297,8 MTEP (milioni di tonnellate di petrolio equivalenti) all’anno. Come dire che un cittadino statunitense consuma mediamente quasi 8 tonnellate di petrolio ogni anno, pari all’800% della media mondiale!

Situazione analoga in Italia: un cittadino medio consuma meno della metà di un abitante degli Stati Uniti, ma il consumo energia mondiale resta comunque altissimo. L’altra faccia della medaglia è costituita dai paesi africani, quelli che secondo Guterres si dovrebbe aiutare a consumare di più. In Africa, la popolazione supera il miliardo di persone, ma il consumo energetico è pari solo al 3% dell’energia messa a disposizione in tutto il mondo. Parlare di voler risolvere il problema delle emissioni di CO2 adottando “tecniche di cottura pulite” in Africa invece di imporre ai paesi sviluppati di ridurre i consumi significa voler distogliere l’attenzione dal problema reale. E non fare nulla di concreto per l’ambiente.

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C.Alessandro Mauceri

C.Alessandro Mauceri

Sono nato a Palermo, città al centro del Mediterraneo, e la cultura mediterranea è da sempre parte di me. Amo viaggiare, esplorare la natura e capire il punto di vista della gente e il loro modus vivendi (anche quando è diverso dal mio). Quello che vedo, mi piace raccontarlo con la macchina fotografica o con la penna. Per questo scrivo, da sempre: lo facevo da ragazzino (i miei primi “articoli” risalgono a quando ero ancora scolaro e dei giornalisti de L’Ora mi chiesero di raccontare qualcosa). Che si tratti di un libro, uno studio di settore o un articolo, raramente mi limito a riportare una notizia: preferisco scavare a fondo e cercare, supportato da numeri e fatti, quello che c’è dietro. Poi, raccontarlo.

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