Se si escludono le banche, utilities e automobili, i fondatori delle principali aziende – per fatturato consolidato, dati Fortune Global 500 del 2020 – nel mondo e in Italia non è/era laureato o lo sono/erano in altre discipline.
Nel mondo:
- WALMART – Sam Walton (laurea in economia)
- AMAZON – Jeff Bezos (ingegnere elettronico)
- APPLE – Steve Jobs (non laureato)
- SAMSUNG – Lee Bjung (non laureato)
- FOXCONN – Terry Gou (ingegnere navale)
- GOOGLE – Sergey Brin (matematico) e Larry Page (ingegnere informatico)
- COTSCO – James Sinegal (laurea in lettere)
- MICROSOFT – Bill Gates (non laureato)
- HUAWEI – Ren Zhengfei (ingegnere civile)
- e poi tra le principali aziende ricordiamo anche:
- NESTLE’ – Heirinch Nestlè (non laureato)
- INTEL – Gordon Moore (chimico), Robert Noyce (fisico)
- BOEING – William Boeing (non laureato)
- ALIBABA – Jack Ma (laurea in inglese)
- FACEBOOK – Mark Zuckenberg (non laureato)
- WALT DISNEY – Walt Disney (non laureato)
- SONY – Akio Morita (fisico) e Masaru Ibuka (ingegnere)
- In Italia
- FERRERO – Pietro Ferrero (non laureato)
- LUXOTTICA – Leonardo Delvecchio (non laureato)
- ESSELUNGA – Bernardo Capriotti (laurea in legge)
- PARMALAT – Callisto Tanzi (non laureato)
- FININVEST – Silvio Berlusconi (laurea in legge)
Io sono laureato (ed ho pure fatto corsi post laurea) pertanto questa analisi va anche a mio discapito, ma questa evidenza empirica mi ha fatto riflettere non poco su cosa realmente crea valore nella catena imprenditoriale. Scrive Philip Kotler, uno dei maggiori esperti di marketing internazionale: “il lavoro del marketing non ha tanto a che fare con la vendita, ma con la creazione di prodotti. I marketer devono cercare opportunità, il marketing deve condurre la strategia dell’azienda”.

Questa frase mi è sempre rimasta scolpita nella mente ed è stata la chiave di lettura dell’analisi empirica di cui sopra: tutte queste persone da metà dell’Ottocento fino ai giorni nostri con Zuckenberg o Bezos hanno pensato prima ad un prodotto o un servizio che rivoluzionasse un settore e che funzionasse bene, poi solamente in un secondo momento hanno pensato ai numeri ed a come fare crescere e rendere sostenibile il loro business.
Indipendentemente dai loro studi. Molti non erano laureati e sono stati fin dall’inizio dei geniali marketer, nel senso più ampio di marketing strategico.
Ovviamente una volta strutturata un’azienda, sono necessari fondi, tanti fondi, e con essi i manager di formazione economica (CEO e CFO) che gestiscano la logistica, la redditività, i costi ecc…. Ma cosa sarebbero questi ultimi senza i primi, senza chi pensa il prodotto o il servizio?
Come scrive acutamente Leander Kahney in Nella testa di Steve Jobs del 2008 “le imprese di maggior successo non sono quelle in grado di innovare i prodotti, ma quelle che sanno sviluppare nuovi modelli di mercato, che prendono le innovazioni altrui e su di esse costruiscono il proprio successo elaborando nuovi sistemi di produzione, di distribuzione, di vendita”. Come diceva lo stesso Jobs “essere creativi significa combinare cose” cioè non pensare consapevolmente all’innovazione.
Se si pensa che fino a dieci anni fa non esistevano l’Ipad, Spotify, Instagram, Uber, Whatsapp, Airbnb, Tik Tok fino all’ultimo arrivato Clubhouse e tante altre cose e servizi che adesso ci sembrano normali, adesso che la pandemia ha fatto emergere nuovi bisogni ed ha ridefinito le categorie di cosa è essenziale e cosa no, si aprono gli spazi per una nuova generazione di innovatori (laureati o meno) in grado di pensare nuovi modelli di business – prima che nuovi prodotti – in base a necessità che ancora non sappiamo di avere o che avremo. Great companies are built on great products (E.Musk)
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