“Aumentare il salario minimo a $15 dollari l’ora farebbe crescere tutta l’economia”. No, non sono le parole del socialista Bernie Sanders, ma bensì del neo eletto presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Quella che una volta veniva considerata una proposta “radicale”, quasi ai limiti del surreale nel contesto socioeconomico statunitense, oggi viene sostenuta con convinzione da un democratico che è tutto fuorché un radicale.
Joe Biden si è preso carico di questa proposta sapendo che avrebbe fatto storcere il naso a molti dei suoi colleghi moderati. Alcuni sospettano che dietro ci sia lo zampino di una frangia del partito democratico capitanata da Elizabeth Warren, la quale, non essendo riuscita ad ottenere alcun ministero di peso nell’amministrazione Biden, avrebbe minacciato di creare zizzania se non si fossero prese certe posizioni. Non è un caso che l’aumento del salario minimo a $15 dollari l’ora fosse parte centrale del programma politico di Elizabeth Warren quando era ancora in corsa per la Casa Bianca.

Ma se da una parte c’è entusiasmo per la decisione presa dallo studio ovale, dall’altra c’è scetticismo e preoccupazione. Vari esponenti dell’ala moderata del partito democratico si sono già esposti per denunciare una riforma che giudicano “pericolosa” per le fasce meno abbienti. Una ricerca del National Bureau of Economic Research, mostra che non c’è alcun tipo di relazione tra l’aumento del salario minimo e la crescita dell’economia, anzi, potrebbe essere vero il contrario. Un’incremento dei salari non può che ridurre la domanda di lavoro, e di conseguenza produrre una disoccupazione più elevata. Questo effetto è particolarmente sentito sulla pelle dei dipendenti più giovani e meno istruiti, i quali vengono lasciati a casa per poter pagare un salario più elevato ai lavoratori ritenuti “essenziali”.
D’altro canto, i sostenitori della riforma, si rifanno a un report del Congressional Budget Office (CBO) che mostra come l’aumento del salario minimo aiuterebbe oltre 17 milioni di persone ad ottenere una paga più elevata. Inoltre, la proposta di Biden, ridurrebbe le persone che oggi vivono sotto la soglia di povertà di oltre 900,000 unità entro il 2025. Chi fa riferimento a questi dati sembra però ignorare che lo stesso report avvisa i lettori che almeno 1.4 milioni di dipendenti perderebbero il proprio posto di lavoro a seguito di un tale incremento del salario minimo. Anche questo report pare dunque dar fondamento alle preoccupazioni dei colleghi moderati di Joe Biden.
In fin dei conti, questa riforma ci mette davanti a un vero e proprio compromesso tra salari più alti e perdite di lavoro, quello che in America chiamerebbero “tradeoff”. È inevitabile che seguendo questa proposta si vada incontro ad alcune perdite di lavoro, ma queste vanno proporzionate ai lavoratori che finalmente emergerebbero dalla soglia di povertà beneficiando dall’aumento del salario minimo. Dati alla mano, le perdite di lavoro stimate dal CBO sarebbero al di sotto l’1% della forza lavoro statunitense, mentre i dipendenti che trarrebbero beneficio dall’aumento del salario minimo rappresenterebbero circa il 10% della manodopera statunitense.
Nel contesto dell’economia statunitense, un compromesso del genere può sembrare accettabile, specialmente se si considera che un numero significativo di persone sfuggirà alla morsa della povertà. Ma Joe Biden dovrà valutare con attenzione per quanto tempo gli Stati Uniti, in ripresa da una pandemia mondiale, possano resistere alla prospettiva di costi dei consumi più elevati per via di un salario minimo che inevitabilmente spingerebbe i datori di lavoro a trasferire alcuni costi sui consumatori.