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October 12, 2017
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Senza Spagna non si magna? La Catalogna separatista non fa i conti con l’euro

La mancata presenza catalana nelle istituzioni europee avrebbe conseguenze economiche disastrose

Angelo PerronebyAngelo Perrone
Senza Spagna non si magna? La Catalogna separatista non fa i conti con l’euro

Dall'1 ottobre, data del Referendum per l'indipendenza in Catalogna (vinto dagli indipendentisti, ma ritenuto illegale dal governo Rajoy), in Spagna è successo di tutto. E il 2018 potrà essere l'anno decisivo

Time: 4 mins read

Una fuga di imprese e di banche. Mancanza di denaro liquido. Crisi delle attività economiche. Persino l’ipotesi di una paralisi non sarebbe così peregrina. L’indipendenza potrebbe costare molto cara alla Catalogna, nonostante sia un territorio ricco, con una attività produttiva consistente e redditizia. Non è una prospettiva determinata dalla politica minacciosa delle autorità governative spagnole, anche se l’esodo delle aziende dalla regione è favorita dalle autorità nazionali come manovra diretta a contrastare l’azione degli indipendentisti.

E’ sulla base dei primi sintomi già presenti sul mercato che la previsione sembra concreta. Ed ha un significato ben oltre i meccanismi finanziari o economici. In discussione, la stessa ragion d’essere delle politiche autonomiste, o meglio delle modalità con le quali esse vengono perseguite oggi, sino alla rottura e alla separazione. Una fase storica in cui, più che mai rispetto al passato, i rapporti tra le nazioni sono connessi tra loro, le dipendenze spesso reciproche, e i propositi di sviluppo delle economie interne spesso legati proprio alle espansioni oltre confine, e alla necessità di coordinamenti e intese.

Molte aziende stanno pensando di spostare la sede legale altrove, proprio per la situazione politica e sociale che si va delineando. La Caixa, prima banca della regione, ha deciso di trasferirsi a Valencia. Il Banco de Sabadell, secondo istituto catalano, ad Alicante. Con la stessa motivazione anche il gruppo Gas Natural Fenosa, colosso dell’energia, vuole spostare la sede sociale da Barcellona a Madrid.

Paure immotivate? Solo timori infondati? Non proprio. Sullo sfondo, c’è la questione molto seria dei rapporti tra la nuova Catalogna e la zona Euro, e la possibilità di continuare a rimanere dentro il mercato continentale e ad usarne la moneta dopo il distacco da Madrid. Certo le autorità indipendentiste si dicono europeiste, e desiderose di continuare a far parte delle istituzioni continentali, anche se trascurano la complessità dei possibili rapporti con la Spagna, che certo contrasterebbe – con l’appoggio delle autorità europee – la presenza catalana nelle istituzioni europee.

Ma la questione del mantenimento dell’euro in Catalogna non deriva soltanto dal verosimile contrasto politico che sorgerebbe tra le due nazioni iberiche e dall’impossibilità da parte dell’Europa di tollerare spinte autonomistiche al suo interno. Piuttosto passa attraverso il meccanismo di finanziamento del sistema bancario di tutta la penisola iberica da parte della banca centrale europea e la dipendenza della Catalogna proprio da Madrid.

Ebbene il flusso di denaro (naturalmente euro) presente nelle banche catalane, largamente finanziato dall’Europa, è garantito proprio dall’elevato debito pubblico di Madrid verso l’Europa.  Dopo il distacco, la Spagna non potrebbe allora continuare a sostenere l’economia catalana: il giorno dopo l’indipendenza, Barcellona potrebbe trovarsi dunque fuori dall’Euro, senza la moneta continentale, anche per la corsa dei correntisti al ritiro dei loro depositi, e costretta a stampare una nuova fragile moneta, e ad affrontare una recessione gravissima.

Il paradosso con il quale l’indipendentismo catalano ha mancato di fare i conti è dunque che la ricchezza della regione e la sua autosufficienza, su cui poggiano l’orgoglio autonomistico, la voglia di fare da soli, e la fiducia di potersela cavare senza gli spagnoli non solo derivano dal contributo di tanti spagnoli che vi si sono trasferiti ed hanno permesso di costruire benessere, ma sostanzialmente sono pagati e finanziati proprio dall’odiata Spagna e dalla lontana Europa.

Sia Madrid che l’Europa sottovalutano l’importanza delle politiche aggregatrici delle nazioni ma al tempo stesso rispettose delle ragioni e delle caratteristiche dei singoli territori. Il continente ha mancato di far sentire una voce alta e costruttiva per risolvere la crisi iberica. La Spagna ha scelto la strada miope e suicida della contrapposizione, della durezza verso le istituzioni catalane e gli stessi cittadini, del rifiuto del dialogo, del muro contro le voci indipendentistiche.

La Catalogna – con l’estremismo di una dichiarazione d’indipendenza dalla Spagna – rischia ottusamente di cacciarsi nel vicolo cieco dell’isolamento politico ed economico, perché oggi i rapporti tra le nazioni hanno raggiunto una complessità ed una articolazione, anche una interdipendenza, sconosciuta in passato, secondo logiche globali la cui dinamica sfugge completamente agli estremisti delle piccole nazioni, e ai protezionisti, costruttori di nuovi muri e confini in varie parti dell’Europa, o al di là dell’Atlantico, nell’America di Donald Trump.

Nessuno può pensare di rimanere isolato, di elevare muri o confini e ritenere di poter risolvere così i problemi che incontra all’interno di un paese e soprattutto all’esterno, nel rapporto con le altre nazioni.

I nuovi confini – come dimostra in maniera esemplare la vicenda catalana – minacciano di indebolire i paesi, di renderli più esposti alle crisi, in una parola di peggiorare le condizioni di vita interne non di migliorarle. L’identità di un territorio, la sua cultura, la sua lingua, in generale la sua storia, sono una risorsa fondamentale, una forza che merita sempre di essere valorizzata oltre che rispettata. Ma occorre chiedersi cosa fare di quella storia, perché non sia densa solo di illusioni, di nostalgie fuori dal tempo, di ricordi invecchiati.

Non serve resuscitare un passato che non può tornare, e che magari non è mai esistito se non nell’immaginazione dei suoi cantori, nella mente di chi agita vessilli e lancia parole d’ordine. Piuttosto occorre trovare una via che esalti l’identità di ciascun paese e nello stesso tempo sia inclusiva delle diversità che arricchiscono il tessuto sociale. Un percorso complicato, che per questo sta lacerando il tessuto europeo e logorando i suoi ideali. E che, anche in Italia, scoraggia i più i quali suppongono di poterlo evitare con l’indipendentismo e l’isolazionismo, inseguendo il miraggio di una soluzione immediata dei problemi e del soddisfacimento repentino dei propri interessi ed istanze.

Non esistono però comode scorciatoie né alternative alla faticosa mediazione degli interessi, al dialogo tra diversi, al superamento lento degli inciampi. Unire le forze per farsi sentire, agire su tutte le leve per trovare una soluzione. Sono passi piccoli e difficili, faticosi e lenti, da compiere con pazienza. Gli unici che possono creare il solco di un futuro possibile e concreto. E’ la difficile arte della politica, per governare la realtà.

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Angelo Perrone

Angelo Perrone

Angelo Perrone è giurista e scrittore. È stato pubblico ministero e giudice. Si interessa di diritto penale, politiche per la giustizia, tematiche di democrazia liberale: diritti, libertà, diseguaglianze, forme di rappresentanza e partecipazione.Svolge studi e ricerche. Cura percorsi di formazione professionale. È autore di pubblicazioni, monografie, articoli. Scrive di attualità, temi sociali, argomenti culturali. Ha fondato e dirige “Pagine letterarie”, rivista on line di cultura, arte, fotografia. a.perrone@tin.it

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