Il Rapporto SVIMEZ 2015 sull’economia del Mezzogiorno, in parte già anticipato a fine luglio, diventando argomento di numerose polemiche per aver restituito una fotografia impietosa del Sud Italia, ribadisce che la crescita del Mezzogiorno continua ad arrancare, anche se quello attuale potrebbe essere il primo anno in cui si verifica una crescita positiva invertendo, se non altro, la tendenza dei sette anni precedenti. Secondo le stime dell’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Sud Italia, quest'anno il PIL italiano dovrebbe infatti crescere dello 0,8%, ma al Sud la crescita è appena di “un timidissimo +0,1%”.
“Una crisi così lunga non poteva che segnare l’intero Paese, e in particolare il Sud, con crescenti fenomeni di disagio sociale e di aumento delle aree di povertà”, si legge nel rapporto. "La gravità della situazione, specie nel Mezzogiorno, è confermata dai dati delle utenze presso le Caritas, che nella debolezza o nella totale latitanza delle Istituzioni pubbliche, rappresenta pressoché l'unica realtà organizzata che mette in campo azioni specifiche di sostegno ai poveri” ha dichiarato il direttore dell’istituto, Riccardo Padovani. Più esposte al rischio di povertà soprattutto le famiglie con minori, quelle giovani, con o senza figli. Ma anche quelle con un solo percettore di reddito. Come intervenire? È dall’inizio degli anni 90 che la necessità di attuare migliori politiche contro la povertà è diventata evidente. Di recente l’ISTAT ha segnalato che, con 4,1 milioni di poveri in Italia, il numero di coloro che non raggiungono uno standard di vita “minimamente accettabile” è ormai diventata un’emergenza nazionale. Il risultato è che oggi il Bel Paese rimane l’unico in Europa, insieme alla Grecia, a non disporre di una misura permanente contro la povertà assoluta nel proprio sistema di welfare. Non basta infatti avere un lavoro per uscire da una situazione di povertà cronica. Il rapporto fa riferimento al Reddito di Inclusione Sociale (REIS) che prevede l’erogazione di un sussidio di 400 euro mensili, e al Credito Familiare (il Reddito di Cittadinanza, nell'ultima versione proposta dal Movimento Cinque Stelle) che dovrebbe assicurare alle famiglie a rischio povertà un sussidio massimo di 780 euro. Secondo gli esperti SVIMEZ entrambe le misure hanno l’importante vantaggio, rispetto ad altre proposte, di concentrare la spesa sui più poveri, riducendo la dispersione delle risorse a favore di soggetti non in condizioni di bisogno. È pur vero che si tratta di due strumenti che si rivolgono a due gruppi differenti. Mentre il Reddito di Cittadinanza è destinato ad una fascia più ampia di beneficiari a rischio di povertà ed eroga un sussidio più consistente, e dunque ha un costo totale maggiore, il REIS si rivolge agli italiani e agli stranieri presenti in maniera regolare in Italia, da almeno un anno, che si trovano in stato di povertà assoluta. Al momento, la bozza della Legge di Stabilità, appena approdata in Senato, prevede l’introduzione del Fondo Nazionale “per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale”, del valore di 600 milioni per il 2016 e 1 miliardo a partire da 2017. Una parte di questi finanziamenti, pari a circa 380 milioni, dovrebbero servire per estendere il SIA, il sostegno per l’inclusione attiva, una formula già sperimentata sulle dodici maggiori città italiane a favore di famiglie che versano in uno stato di povertà ma con figli minori. Che si chiami SIA o REIS non cambia. Come fa notare lo stesso rapporto SVIMEZ, “una misura universalistica di sostegno al reddito non è più rinviabile. Il compito del decisore pubblico dovrebbe quindi essere quello di scegliere o di mediare tra le proposte attualmente in campo”. In base a elaborazioni e stime dell’istituto, il 90% delle famiglie poverissime, con un reddito inferiore al 60% della linea di rischio della povertà, avrebbero infatti diritto ad un sussidio.
Eppure gli acronimi attualmente in circolazione per contraddistinguere i diversi strumenti di contrasto alla povertà cominciano a sovrapporsi con il rischio di creare confusione. Prendiamo ad esempio il RIA, il Reddito di Inclusione Attiva, un intervento studiato dal Ministero del Welfare di carattere universale, destinato a famiglie con un reddito inferiore ad una certa soglia. In cambio chi riceve il sussidio, circa 400 euro mensili, si impegna a partecipare a corsi di formazione e ricerche di un lavoro. Si punta infatti all’inserimento occupazionale, un percorso che non sembra ancora essere stato definito nella proposta del SIA, ma che potrebbe avvicinare il RIA all’intervento a cui l’associazione SVIMEZ fa riferimento nel suo rapporto: il REIS o reddito di inclusione sociale. La misura proposta dall’Alleanza Contro la Povertà, un cartello di soggetti che raggruppa associazioni, come Save The Children, Comunità di Sant'Egidio, Action Aid, sindacati come la Cgil, e rappresentanze di Comuni e Regioni, vorrebbe estendere il sussidio a tutti, famiglie con figli o meno, giovani e anziani, disoccupati e "working poor", coloro che non hanno per il momento strumenti per far fronte ad esigenze minime. Per i sostenitori del REIS, il valore di quest’idea è di favorire il superamento di politiche improntate all’assistenzialismo dei poveri, in favore di percorsi di inclusione sociale e lavorativa. Ma non è tutto. Il REIS è caratterizzato anche da un percorso di welfare generativo che ha suscitato più di qualche perplessità. In sostanza come contropartita all’aiuto ricevuto, il beneficiario dovrà svolgere attività volontarie non retribuite, promosse per esempio da organizzazioni del Terzo Settore, associazioni di volontariato o enti pubblici. Ma ricorrere ai disoccupati per colmare una mancanza dello Stato non è sempre una soluzione convincente alla necessità di trovare risposte adeguate alla lotta contro la piaga dell’indigenza.