Il rapporto dello SVIMEZ, ripreso per alcuni giorni da tutta l’informazione italiana, sottolinea, senza però investigare una sola causa, quello che chiunque viva al Sud ha ben chiaro: si sta peggio di dieci anni fa e l’emigrazione è oramai un pellegrinaggio di massa verso le Terre Sante del Nord.
Le crude cifre del rapporto registrano dopo un secolo l’aumento della distanza tra le due Italie. Così mentre la Germania, a venticinque anni dall’unificazione, ha raggiunto l’obiettivo di far convergere il suo Est ai livelli del più sviluppato Ovest, l’Italia insegue l’identico obiettivo da 155 anni con quasi nessun risultato.
Di chi le colpe? Pasquale Villari nelle sue lettere meridionali parlava di camorra e mafia, delle caratteristiche e della dislocazione territoriale e 100 anni dopo ci troviamo a ragionare ancora su questi fenomeni con una inquietante coincidenza con molte delle affermazioni dello storico. Nel secondo dopoguerra le rivolte contadine e la redistribuzione dei latifondi fu salutato come l’inizio di un possibile processo di liberazione. Intervennero poi i massici trasferimenti economici delle varie casse speciali, la realizzazione di alcuni insediamenti industriali ciclopici e l’attesa miracolistica in una contaminazione possibile che trasferisse il benessere del Nord al Sud.
La riforma agraria si tradusse in trasferimenti di terreno non accompagnati da nessuna assistenza e parzialmente fallì, gli investimenti furono guidati non dallo spirito del New deal che dall’altra parte dell’oceano aveva consentito la rinascita di una nazione, ma da una famelica fame di risorse che cambiò la vita di alcune centinaia di famiglie e non certo dei milioni di uomini e donne cui erano destinati.
Nel frattempo l’avvento del suffragio universale portò alla scoperta della forza elettorale delle organizzazioni mafiose e al cambio radicale del rapporto tra forza criminale e sistema politico. Non più sicari o squadroni punitivi da utilizzare contro gli avversari, ma un’organizzazione con cui trattare per costruire fortune elettorali. Giacimenti del consenso che hanno consentito alle mafie di beneficiare di immense protezioni da parte delle istituzioni pubbliche.
Quando assistiamo inorriditi al tribalismo sociale che devasta molti paesi impedendo l’affermarsi di uno Stato unitario e condannandoli a una guerra perpetua e alla povertà, non ci avvediamo che, con le dovute differenze, nel Sud dell’Italia si combatte da anni una battaglia tra fazioni in cui il bene comune è solo l’icona da innalzare per chiamare a raccolta i fedeli, ma la pratica risponde alla scientifica ricerca di privilegi di aggiungere ai tanti già goduti.
Che fare dunque? La triade del male: burocrazia autoreferenziale e ingorda, politica faziosa e succube, mafie rinnovate e mimetizzate, operano a pieno regime. Destra e Sinistra al Sud hanno quasi annullato le differenze e, con qualche lodevole eccezione, amministrano male ambedue.
Eppure il Sud per un periodo breve, quello della golden age italiana, era riuscito a ridurre le distanze dal Settentrione. Il PIL (Prodotto Interno Lordo) meridionale rapportato a quello del Centro Nord ha conosciuto un calo ininterrotto dall’unità fino agli anni ‘50 del secolo passato attestandosi nel 1959 al 53%. Durante gli anni ‘60 e i primi ‘70 l’effetto congiunto del miracolo economico, di interventi strutturali e di una politica riequilibratrice portarono il PIL pro capite a oltre il 63% di quello del Centro Nord, percentuale che negli ultimi quaranta anni non abbiamo più toccato.
L’istituzione delle Regioni, delle loro burocrazie, dei localismi esasperati, la spasmodica ricerca del consenso ha condotto all’inabissamento di ogni serio proposito di convergenza. Per capire quanto l’inefficienza delle potenti burocrazie regionali unite a una politica meridionale rinunciataria e a una criminalità mai domata abbiano inciso sull’attuale disastro raccontato dalla SVIMEZ, basta guardare a quella che è sbandierata come una risorsa sottoutilizzata, i fondi strutturali dell’Unione Europea.
Cosa è accaduto negli ultimi decenni in Europa, quante aree sono transitate da “fuori convergenza” a regioni in transizione, da un reddito procapite inferiore al 75% della media UE a un reddito che supera questa soglia? Qui si apre il tempio della vergogna italiana e meridionale. Scorrendo i grafici si ha la percezione di un disastro apocalittico.
La Spagna nel programma 2000-2006 contava sette regioni meno sviluppate, nel 2014 ne ha soltanto una. L’Irlanda ne aveva tre, ma all’inizio della nuova programmazione è uscita dal novero dei Paesi con aree sottosoglia. La Finlandia aveva sei regioni sottosoglia, mentre oggi è fuori. La Germania presentava nel 2000 tutto il suo Est, vasto per superficie e popolazione quasi come il nostro Sud, tra le regioni non sviluppate. Quindici anni dopo tutti i Land della Germania dell’Est hanno oltrepassato la soglia della convergenza uscendone totalmente.
Persino la Grecia passa da otto regioni a sei. La vergogna d’Europa si chiama Italia. Tra il 2000 e il 2014 solo la Sardegna è fuori, mentre la Basilicata vi è rientrata.
Guardando la mappa dell’Europa a 27 si percepiscono due macro aree ad Obiettivo convergenza: l’Est Europa e il Meridione d’Italia. La prima si muove rapida e tutti gli indici di crescita lasciano presupporre che nel 2020 buona parte di quel territorio sarà fuori dall’area di convergenza. L’Italia no, il suo Meridione no. Tutti le cifre elencate senza passione dalla SVIMEZ indicano un peggioramento e nessun rimedio all’orizzonte.
Se le classi politico-burocratiche non impegnano i fondi europei o li dilapidano in iniziative improduttive non accade nulla. Nessun dirigente pubblico è rimosso e nessun politico è penalizzato. Un grande Paese dovrebbe parlare di fronte a questi dati non di questione meridionale, ma di emergenza nazionale. Con l’aggravante che il patto di stabilità fotografa i bassi impieghi di risorse del Meridione e impone tetti sempre più claustrofobici alle disastrate economie del Sud.
Passate le cifre, oggi la SVIMEZ, ieri il CENSIS con valutazioni similari, si torna tutti nelle proprie tane. Il sistema dell’informazione insegue lo scandalismo, mentre il macroscandalo di una nazione incapace di salvare se stessa lo dovrebbe tenere occupato e vigile in permanenza. Un Parlamento ubbidiente non riesce ad avere colpi d’ala e immaginare rinascenze. Le caste dorate si distinguono per il fasto dei loro paramenti e una grande massa di popolo si omologa sempre più verso il basso.
Ma questa è l’Italia e forse anche per noi, quando il disastro non potrà più mascherarsi dietro le cifre unitarie, arriveranno i duri diktat europei.