E dopo Stiglitz, di cui abbiamo scritto venerdì, al Festival dell'Economia di Trento sabato è stata la volta di Thomas Piketty, economista francese autore, nel 2013, di un testo considerato già un classico, Il Capitale del XXI secolo, spavaldo fin dal titolo anche se l'autore, pudicamente, ricorda di essere nato nel 1971, quindi di non potersi dire "comunista".
Comunista no, ma interessato al tema della disuguaglianza e dei modi per correggerla, contenerla, ricacciarla indietro, certamente sì. Con gli strumenti dell'analisi economica, incrociati con quelli della storiografia, e anche "sporcandosi le mani", ovvero collaborando attivamente con i governi socialisti del suo paese. Salvo dover masticare amaro: Piketty è stato consigliere economico della candidata socialista alle elezioni presidenziali in Francia del 2007 Ségolène Royal, e nel 2012, insieme a 42 colleghi, ha firmato una lettera aperta in sostegno di François Hollande, candidato alle elezioni presidenziali francesi, che risultò poi vincente. In entrambe le occasioni però l'idillio è stato di breve durata.
A Trento, in un festival che ha visto anche la presenza del presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, Piketty si è ritrovato in buona compagnia, con economisti come il già citato Stiglitz o Anthony Atkinson, suo ex-professore alla London School of Economics: il tema della disugliaglianza e quello speculare della mobilità sociale sono stati il filo conduttore della kermesse (che proseguirà fino a martedì 2 giugno), il taglio sempre molto critico nei confronti delle politiche neoliberiste che hanno imperversato dagli anni '80 ai giorni nostri (e dell'apparato teorico che le sosteneva, quello della scuola di Chicago).
La tesi di Piketty, ribadita nel suo libro, già tradotto in 30 paesi (in Italia da Bombiani) sulla scorta di una enorme mole di dati storici, in sintesi è la seguente: la disuguaglianza cresce, e cresce perché la rendita da capitale – l'economia patrimoniale – cresce in misura maggiore dell'economia "reale", alla produzione e ai salari/stipendi. La forbice fra ricchi e poveri dunque si allarga, in misura maggiore in paesi come gli Stati Uniti (come detto anche da Stiglitz e da Atkinson utilizzando l'indice di Gini). Una tesi del genere non poteva che risultare scomoda ai sostenitori delle sorti magnifiche e progressive del capitalismo, che infatti hanno cercato di smontare i suoi studi, anche utilizzando i media. Ma con scarso successo, almeno finora.
Piketty però non è un "livellatore", trova sì scandaloso che ad esempio il rapporto fra il reddito di un operaio e quello di un amministratore delegato possa essere, oggi, 1 a 300, mentre 40 anni fa era 1 a 40, ma non ritiene di dover demonizzare la disuguaglianza in sé. Ritiene invece che essa sia sbagliata quando è ingiustificata.
"Il mio libro si basa su una ricerca collettiva che ha coinvolto molti ricercatori, giovani e meno giovani – ha detto Piketty a Trento – e ha fruttato un database enorme, con tutte le informazioni possibili sul reddito, nei vari paesi, derivanti dagli archivi delle imposte e altre fonti anche più vecchie. Io sono più bravo ad analizzare il passato che a prevedere il futuro, quindi non voglio calcare la mano sulle previsioni, quanto illustrare una storia del reddito e della ricchezza che non è solo economica, è anche sociale e politica. Non c'è nulla di "naturale" nell'evoluzione dell'economia, sono gli uomini che scelgono, sempre. Le soluzioni ci sono, si possono di volta in volta scegliere strade diverse. Gli stati lo fanno. Prendiamo il debito estero: la Germania non ha mai ripagato il suo debito e oggi fa la predica alla Grecia".
La sua conferenza è proseguita illustrando le dinamiche di lungo periodo delle diseguaglianze di reddito e ricchezza. Scopriamo che agli inizi del 900 la disparità era maggiore in Europa che negli Usa, nei primi anni 2000 la situazione si è rovesciata. Kuznets, economista Nobel del 1971 (ne abbiamo parlato recentemente recensendo un libro di Marco Revelli) aveva sostenuto, con l'aiuto della sua famosa "curva", che col tempo la disuguaglianza tende a ridursi per l'effetto a cascata prodotto dall'aumento della ricchezza dei ceti più elevati. Ma i cicli storici mostrano che la disuguaglianza, dagli anni '80, continua a crescere, per effetto combinato di globalizzazione, calo dei salari minimi, diseguaglianza nell'accesso alle competenze, crescita senza precedenti nei compensi dei top manager, politiche fiscali, privatizzazione e conseguente accaparramento dei beni pubblici e così via.
La conclusione più importante è che "le istituzioni e la politica contano. Infatti non in tutti i paesi la disuguaglianza è cresciuta nello stesso modo. Anche a prescindere dalle condizioni di partenza. In Francia il salario minimo era più basso di quello USA negli anni '50, oggi è molto più alto. Il livello minimo medio dei salari in America oggi è poco più di 7 dollari, era 10 negli anni '60. Obama ora ha proposto di accrescerlo notevolmente. Un'altra possibilità sarebbe investire nella formazione del capitale umano per permettere alle persone di accedere a lavori più qualificati".
E proprio sul versante dell'istruzione sono dolori. "Nel mio libro – ha detto Piketty – dimostro che gli studenti che vanno ad esempio ad Harvard provengono dal 2% più ricco della popolazione americana, ma dati simili sono rinvenibili anche in Francia. In generale, la corrispondenza fra ricchezza e migliore istruzione, o povertà e istruzione di basso livello, è fortissima. Più negli USA, ma anche nei paesi europei. Su questo terreno è difficile parlare di meritocrazia".
Naturalmente quando si accumula una ricchezza elevata è facile trasmetterla alle generazioni future. Si crea "una società basata sui patrimoni". Nell'Europa degli inizi del secolo in paesi come Inghilterra o Francia era proprio così: le aristocrazie fondiarie, le oligarchie, detenevano ancora la maggior parte della ricchezza. Nel corso del secondo dopoguerra la situazione è cambiata, anche per effetto della ricostruzione e del consolidamento di robusti sistemi di welfare. Oggi la situazione di inizio secolo (Ventesimo) si sta riproponendo, ma per effetto di fattori diversi. Ad incidere non è più tanto la proprietà terriera, mentre il valore della ricchezza immobiliare è tornato a crescere (anche producendo le famose "bolle" immobiliari). Ma a crescere è stato soprattutto il reddito da capitale, nazionale ed estero. Piketty chiama tutto questo "la rivoluzione del capitale".
Le conclusioni sono di forte buon senso, almeno per chi nei segmenti più bassi della società ci sta e ci vive. "Oggi un giovane che non ha alle spalle una ricchezza immobiliare familiare o non può contare su una eredità o un lascito, se vuole acquistare un appartamento a Madrid o a Londra, con il suo solo stipendio ha grosse difficoltà. Quindi, dovremmo pensare a tassare i redditi da capitale in misura diversa, più pesante, rispetto ai redditi da lavoro, se volessimo ridurre le diseguaglianze. Ma fino ad oggi abbiamo fatto il contrario".
Ma Piketty ha pronunciato parole "pesanti" anche nei confronti di chi oggi governa l'Europa. "Governanti come Manuel Valls o Matteo Renzi che si dicono contrari alle politiche di austerity seguite da anni nella UE, devono passare dalle parole ai fatti. Parlarne soltanto non dà risultati concreti". Fra le voci del "che fare" una delle prime è quella fiscale, nei confronti delle rendite finanziarie e dei grandi patrimoni. E qui l'allievo ha riecheggiato il maestro Atkinson, che a Trento ha sollecitato a sua volta una più forte tassazione dei patrimoni e delle eredità.