Start up, innovazione tecnologica e formazione: la ripresa dell’economia italiana passa attraverso queste tre parole chiave, capaci di attirare sempre di più l’attenzione di giovani neolaureati, imprenditori e solution manager, insomma di chiunque abbia un’idea innovativa e la forza di realizzarla: il garage di Steve Jobs ha il suo fascino e sintetizza bene lo spirito di chi si lancia a fare impresa con le nuove tecnologie, ma non bisogna per forza essere dei piccoli Bill Gates o vivere a Palo Alto per aprirsi uno spazio nel mercato con le proprie idee o, più prosaicamente, per avere successo.
Anche in Italia si può fare, come dimostra il boom delle start up impegnate nell’ICT in una città non sempre facile come Roma. In base a uno studio dell’Associazione Roma Start Up, Roma conta su 20 università tra pubbliche, private e istituti di ricerca accademici (come il CNR), oltre a 16 scuole internazionali. La Capitale vanta anche il più grosso numero di universitari in Europa con oltre 300.000 studenti, ha 6 istituti di ricerca che occupano 7.800 lavoratori e oltre 13.000 imprese impegnate in nuove tecnologie; ma soprattutto negli ultimi 3 anni gli incubatori e acceleratori per start up sono cresciuti di oltre il 1.000% e oggi sono tra i primi posti in Europa per numero e importanza, al punto che stanno aumentando sempre di più i cosiddetti “business angel”, gli imprenditori privati che decidono di finanziare – in gergo “seed”, seminare – una start up e la sua idea.
A fotografare (bene) la situazione è Gianmarco Carnovale, presidente di Roma Start Up, Gianmarco Carnovale: “Roma sta sviluppandosi facendo leva sui propri punti di forza quali la qualità della vita, i centri di ricerca e l'incredibile numero di universitari e di stranieri che ci vivono. È pur vero che rispetto alle altre capitali europee soffriamo un certo ritardo: il venture business si è sviluppato in nord Europa già a fine anni '90, mentre da noi non fece in tempo ad attecchire. Oggi che è conclamato che le start up, gli acceleratori ed il capitale di rischio sono la formula per creare imprese e posti di lavoro, stiamo costruendo il nostro sistema di investitori professionali”. In altri termini, a Roma quello delle start up è il fenomeno del momento.
Innovazione in italiano

Un’area del LUISS Enlabs
I settori in cui operano le start up romane sono numerosi e non manca una certa originalità tutta italiana: è il caso di Le Cicogne, un portale rivolto a chi ha bisogno – anche immediato – di trovare servizi di babysitter, babytaxi e babyteaching.
Nato da un’idea di una studentessa universitaria, Francesca Archibugi, Le Cicogne è una start up che grazie all’incubatore di impresa LUISS Enlabs è riuscita a espandere (con un seed di 50.000 euro) la propria offerta su Milano proponendo anche servizi B2B tra hotel e aziende.
C'è poi Codemotion, nata per hobby e oggi divenuta la conferenza di riferimento per i developer di Italia e Spagna su temi come web, mobile, cloud, sicurezza, Big Data, linguaggi. Un settore in espansione è quello dei giochi e videogames: è un mercato che occupa milioni di dollari ed è importante per iniziare ad avere risultati senza grossi finanziamenti.
Insomma, un mercato così dinamico non poteva non richiamare l’attenzione non solo dei “business angel”, il cui seed è comunque limitato a un investimento che generalmente non supera i 550.000a euro: la realtà è che negli ultimi mesi sta attraendo sempre di più le grandi aziende multinazionali e i fondi di investitori privati, i famosi hedge fund. Di recente l’associazione Roma Start Up ha riunito quaranta grossi venture capitalist interessati a investire per conto di hedge fund o direttamente, sulle start up romane: Gamepix, Tnotice, Athea, Filo, solo per fare alcuni nomi. Le loro app meriterebbero tutte una citazione: basti pensare a Qunica, in grado di gestire e smaltire le code di attesa e che è in procinto di essere acquistata dalle Poste britanniche. E se adesso sono gli italiani che insegnano agli inglesi come fare le file, è segno che il mondo sta davvero cambiando…
Lo zampino delle "grandi"

Il Device Lab
Ma anche grandi imprese come Google, Samsung, Intel, Microsoft, sono ormai entrate nel mercato romano e hanno puntato gli occhi sulle start up capitoline: è stato infatti inaugurato in questi giorni nella struttura della Luiss Enlabs, un incubatore di imprese, il primo “Device Lab”, il laboratorio attrezzato in cui gli sviluppatori potranno testare le loro app su tablet e smartphone di ultima generazione oltre che su software e su modelli non ancora usciti sul mercato.

Luigi Capello, fondatore e amministratore delegato di LVenture Group
Manco a dirlo, a mettere a disposizione smartphone e tablet sono loro, i grandi player della produzione mondiale, insomma le multinazionali citate poc’anzi. Che per l’occasione forniranno anche assistenza e tutoring alle start up: leggendo tra le righe, faranno anche scouting tra i giovani start upper per carpire i più interessanti.
Secondo Luigi Capello, fondatore e amministratore delegato di LVenture Group, la holding che gestisce LUISS Enlabs, è fondamentale il lavoro di squadra e di sinergia perché “crediamo che la collaborazione nella valutazione dei progetti imprenditoriali e nell’investimento sia la chiave per il successo delle start up sui mercati nazionali e internazionali”.
Intanto il Lab risolve problemi come comprare macchinari e attrezzature adatti e promuove la ricerca e il lancio di idee e app innovative e sperimentali: al momento sono 30 i modelli a disposizione dei giovani start upper, e non sono molti se consideriamo che sono circa 150 i modelli che escono sul mercato ogni anno: ma presto il Lab aumenterà il numero dei device a disposizione.