Proviamo a fare il punto. Berlusconi deve scegliere, se stringere ulteriormente (e definitivamente) la sua alleanza con Matteo Renzi, oppure scioglierla. Sembra sensata la prima alternativa, giacchè senza Renzi, interprete autonomo della sua successione, Berlusconi sembra solo poter consumare un crepuscolo anonimo e sterile, fra ambizioni mal calibrate (Fitto) e un’energia polemica che si svilisce in sempre più accentuate astrazioni (Brunetta).
Matteo Renzi scrive sulla sua idea di sinistra, dopo che gli era stato frontalmente richiesto di precisarla. Sullo sfondo (ma è uno sfondo apparente, pronto ad occupare il proscenio) stanno “l’altro Matteo”, Salvini, che tùrbina sugli umori dell’impaurito e impoverito ceto medio settentrionale; e la coppia sindacalistica Landini-Camusso, che fomenta un’autocaricatura della “classe”, con il veleno moralistico dell’invettiva manichea: non ti votano gli onesti. E’ un’autocaricatura perché la grande impresa italiana e parapubblica che è stata la Fiat non c’è più. E loro sono il sindacato nato e costruito in questa dimensione scomparsa, che finge di non saperlo.
Tutto è connesso. Il Presidente del Consiglio interviene proprio a partire dall’urto avuto con quei sindacalisti, ritenuti, dal facoltoso patriziato gauchiste, portatori degli interessi più deboli: la cui tutela esprimerebbe, oggi come ieri, la cifra democratica dell’intera comunità. Renzi, da Segretario del Partito Democratico, rivendica proprio di guardare ai “più deboli”. Ma lo fa aggiungendo (fortunatamente), che il sindacalismo della sclerosi ha accantonato tutti coloro che, per non essere “soggetti di un contratto”, semplicemente non sono stati considerati fra i vivi: chiunque sia un ventenne o un trentenne e, temo pure un quarantenne, sa di che sto scrivendo. Perciò senza disconoscere quello che, con spontanea ironia, ha chiamato il Pantheon, Renzi difende e rilancia il suo Job Act. E fa osservare che “il sindacato dei lavoratori” (virgolette mie) non si oppose alla Legge Fornero, digrignando i denti invece con lui.
E, d’altra parte, questo ghetto di Varsavia diffuso sul territorio e misconosciuto dalla retorica dei più deboli (ma vivi), continua ad espandersi anche per la correlativa e micidiale crisi manifatturiera su cui soffia Salvini, e che anche le paturnie delle retrovie berlusconiane graziosamente non considerano. La manifattura, invece, è la zattera comune su cui l’Italia dovrebbe saltare.
Infatti, le certezze dei mugugnatori di destra e di sinistra, sembrano non considerare che Renzi potrebbe essere l’ultima risorsa. Non per sue speciali qualità, ma per lo sterminio economico che in Italia assume gravità e caratteri sempre più marcati. Il conto lo stanno pagando i figli e i nipoti del Boom economico. L’Italia che da povera si era fatta benestante, lungo i tre decenni culminati negli anni ’80. E, nel parassitismo rancoroso e suicida (e moralmente sudicio) di retori ottusi e privilegiati, posta al centro di ogni guasto politico nazionale.
Quell’Italia è l’Italia spiritualmente rinascimentale del genio artigiano e, talvolta anche artistico. La c.d. piccola e media impresa quello è stato e, dove ancora resiste, quello è. Sapere italiano rivolto al mondo e dal mondo apprezzato: mani nazionali, gambe cosmopolite. E dove i padroni sgomitano per assumere i ragazzi svegli e volenterosi. La globalità è informe, anonima e caotica. Come i centri commerciali. Per questo le persone vi figurano solo come un costo. Avere supinamente accettato una vulgata interessata e rozza, per cui la dimensione mediamente piccola dell’azienda italiana era inadeguata ad affrontare i “mercati globali” è, fra le responsabilità del ceto sedicente intellettuale, fra le maggiori, se non la maggiore.
Invece era proprio il contrario. Quella era (è) la nostra forza. Dopo la sbornia Made in China (correlativa alla sbornia Euro), dopo aver sperimentato la scadentissima “verità globale” di merci così prodotte, oggi è tutto un pullulare di “richiesta di qualità” e di cose fatte bene. Cioè di cose costruite secondo metodo e conoscenze. Non solo italiane, per carità: ma molto, moltissimo italiane, com’è universalmente noto.
Per costruire e progettare occorrono ingegno e fondi. Mentre l’ingegno va all’estero, le banche nascondono i fondi dietro l’Europa. L’Europa si nasconde dietro il Patto di Stabilità. Il Patto di Stabilità si nasconde dietro la Crisi Economica. La Crisi economica si nasconde dietro la Germania. E, dopo vent’anni di retorica e di veleno europeista siamo di nuovo agli Stati-nazione. Renzi potrebbe essere una sintesi plausibile del migliore dinamismo italiano. Salvini, Landini e Camusso, potrebbero, l’uno, spiegare ai settentrionali impauriti (non tutti lo sono) che l’immigrazione è stata integrata nei processi produttivi e che, se proprio si vuole farne una questione, meglio sarebbe tornare a lavorare in fabbrica anziché limitarsi allo spauracchio delle anonime orde, che certo ci sono, ma non sono solo orde. E gli altri, spiegare (magari insieme a quelli che a sinistra arrotano la erre) ai loro figli e nipoti cos’è un contratto di lavoro o una pensione. Perché loro non lo sanno e non capiscono perché tutti questi deboli bene cresciuti e invecchiati protestino. E Berlusconi? Berlusconi dovrebbe tenere a bada i troppi mediocri che ha messo in giro.