Il vero motivo per cui Matteo Renzi e i suoi padroni vogliono abolire l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori è che i grossi imprenditori italiani sono così mediocri che non sanno far soldi se non in quel modo: rubandoli ai loro dipendenti.
Di questo bisogna ricordarsi quando ci si indigna, giustamente, per i numerosi pregiudicati e ex-veline che diventano parlamentari. O per il fatto che, chiaramente non toccati dalla crisi e indifferenti alle difficoltà di tanti italiani, alcune decine di migliaia di benestanti abbiano fatto la fila per comprarsi l’iPhone 6 qualche ora prima degli altri, in una dimostrazione di consumismo compulsivo che dovrebbe essere inclusa nei manuali di psichiatria. O per casi come quello del capitano Gregorio De Falco, mai promosso e adesso trasferito malgrado la dedizione e competenza dimostrate in occasione del naufragio della Concordia, mentre il responsabile dell’incidente, il comandante Francesco Schettino, è stato trasformato dai media in una celebrity e persino invitato a parlare all’Università di Roma da qualche studioso in cerca di gossip e di facile visibilità.
In troppi, di fronte a questi eventi, lamentano la fine della politica o addirittura della società umana. Troppo astratto. Questi e simili comportamenti sono solo e semplicemente la logica e necessaria conseguenza del liberismo. In forme leggermente diverse è così negli Stati Uniti e ovunque. Invece di diventare qualunquisti o rassegnati bisogna riconoscere il problema e affrontarlo per quello che è.
Il liberismo è il sistema dei mediocri e degli stronzi. Premia chi non ha qualità; o meglio, attribuisce qualità, retroattivamente, a chi abbia avuto successo, in qualunque modo e a qualunque costo. Ai prodotti o alle persone che, generalmente per caso, si siano imposti. Le loro intrinseche virtù non hanno alcuna importanza: il liberismo non ha un’etica e neppure dei valori. Come ho detto, il suo unico valore è il successo, generalmente misurato attraverso il denaro. Per questo Paris Hilton e Justin Bieber e Mario Balotelli “meritano” di guadagnare in un mese più di quanto un operaio o un impiegato o un piccolo commerciante guadagnino in tutta la vita. Per questo Renzi “merita” di essere primo ministro e Marianna Madia ministro per la pubblica amministrazione. Per questo Mark Zuckerberg “merita” di essere plurimiliardario, con un patrimonio personale superiore al PIL annuale di tante nazioni – per aver avuto una sola idea, una sola, buona ma non tanto originale, però al momento giusto e sfruttata bene: e il punto è che se non fosse toccato a lui sarebbe toccato a qualcun altro, di cui ora starei parlando, e Zuckerberg non sarebbe nessuno, e non farebbe alcuna differenza.
Il liberismo è una lotteria, in cui chi vince non solo vince tutto ma diventa un vincente e lo era anche prima, e chi perde è e era un perdente. Comodo, per chi vince. Si capisce che sia un’ideologia che attira anche i raccomandati, i truffatori, gli speculatori: perché sdogana la loro disonestà e il loro egoismo.
Per un paio di millenni o poco più le civiltà hanno cercato, in maniere molto diverse a seconda dei tempi e dei luoghi, di ridurre il ruolo della casualità e della pura avidità nelle vicende umane, introducendo concetti come quelli di virtù, di valore, di etica. Il capitalismo liberista li ha abbandonati, tornando alla legge della giungla: vince il più forte o il più fortunato o chi abbia meno scrupoli, e siccome ha vinto meritava di vincere. Anche nelle civiltà c’è gente oscenamente ricca, che però ha più difficoltà ad andare in paradiso di quanta ne abbia un cammello a passare per la cruna di un ago. Per il credo liberista i ricchi sono invece gli unici che vanno in paradiso.
Smettete di stupirvi se il mondo diventa sempre più violento, incivile, ingiusto, ignorante, arrogante, stupido, ai limiti dell’autodistruzione e forse oltre. Non è destino e neppure genetica. È una scelta politica ed economica: si chiama liberismo. Sta a noi abbandonarlo, combatterlo, opporgli diversi modelli di vita e di sviluppo. Sta a noi smettere di cadere nelle sue trappole per pavidità, inerzia o addirittura vergogna – vergogna di non essere dei vincenti. Non sono dei vincenti: sono la classe dirigente più inetta che l’umanità abbia mai avuto. Una sola cosa meritano davvero: di essere spazzati via.