Frank prende un taccuino stropicciato seppellito tra i terminali della sua «working station», strappa un foglietto e sopra ci scrive la parola «crap» cerchiandola più volte. Poi in un italiano corsaro spiega: «Una cagata, intendo dire».
Siamo sul Floor del Nyse, la Borsa più importante d’America, epicentro del traffico finanziario che anima Wall Street, cabina di regia del «trading» sempre più distante da un’altra cabina di regia, quella della politica di Washington. Frank, questo lo pseudonimo che abbiamo scelto, è uno «specialist», un operatore di Borsa che tratta solo un certo tipo di titoli. Nel suo portafogli, ad esempio, ci sono le azioni del Manchester United, di operatori per il turismo d’elitè, e di esotiche società dei Paesi emergenti. Frank ha sangue italiano, i genitori sono entrambi nati nel meridione del Belpaese, e lui che Trinacria e Costiera amalfitana le frequenta ogni estate, non ha timore nel concedersi incursioni in tricolore, come quella di cui sopra.
A cosa stava rispondendo lo «specialist» di Wall Street? A una domanda semplice e diretta: «Cosa pensi del discorso sullo stato dell’Unione di Barack Obama?». Abbiamo deciso di far rotta verso l’appendice più bassa di Manhattan, nei giorni successivi all’intervento del presidente americano per tastare il terreno della finanza, per capire la comunità di Wall Street come si posizionasse – per usare un termine caro al trading. E' bastata una mezza giornata trascorsa sul Floor per capire che tra quella realtà e il 1600 di Pennsylvania Avenue, c’è un muro più alto di quello eretto dagli olandesi a Wall Street nel XVII secolo, una volta strappato quel lembo di terra agli indiani per un pugno di monete, due pelli e qualche bottiglia poco pregiata. «Sarò più chiaro – rilancia Frank – Obama è un cane che si morde la coda».
Se lo «specialist» mantiene l’anonimato per vincoli contrattuali con la sua società, a parlare in chiaro è Doreen Mogavero, fondatrice di una casa di brokeraggio tutta al femminile, «Mogavero & Lee». «Il presidente è sembrato positivo e possibilista sulla capacità di creare ciò di cui abbiamo bisogno, ovvero occupazione. – dice – Politicamente la penso in maniera diversa, pertanto ci sono due o tre aspetti sull’attuazione di determinate misure su cui non mi trovo d’accordo, ma dal punto di vista degli obiettivi non c’è molto su cui possa eccepire». Commento sobrio, quasi distaccato, che tuttavia fa preludere un «però» a caratteri cubitali. «Il punto è che dovrebbe essere un po’ più aggressivo, il problema di questa amministrazione è che non ha fatto e, forse non farà, ciò che deve in maniera sufficientemente veloce. Ci sono persone in questo Paese che hanno bisogno di aiuto e lui si deve muovere». Ha le idee chiara la regina del «trading in rosa», anche su dove Obama è carente: «Sulle infrastrutture, quella senza dubbio è la marcia in più che ci vorrebbe, ciò che può fare la differenza».
Cerca di mascherare l’insoddisfazione dietro l’ironia invece, Kenneth Polcari, guru di O’Neil Securities. «Vuoi un commento sullo stato dell’Unione o sul discorso di Obama sullo Stato dell’unione?», chiede. «Entrambi». «Un discorso discreto, senza troppa enfasi, né in un senso né nell’altro, tutto qui», dice facendo presagire che dietro quel «tutto qui» ci fosse tanto da dire. Scopre le carte quando fa il suo «check up» sull’America. «Le condizioni generali in questo Paese continuano ad essere difficili, non penso che il presidente e il suo discorso abbiano affrontato o proposto soluzioni in maniera puntuale su quelle che sono le necessità della Nazione». Polcari sembra anche comprensivo, capisce che Obama si trova in una situazione di difficoltà, e che è giunto alla Casa Bianca nel pieno di una terribile crisi. «Proprio per questo sarebbe dovuto essere incisivo – chiosa – cosa che non mi sembra sia accaduto, anzi ritengo che abbia tentato di venderci fuffa».
Certo Wall Street è tradizionalmente più vicina agli ambienti repubblicani, o quanto meno «conservatori fiscali». Ma questa volta la spaccatura con la politica di governo sembra essere più netta e profonda, come se la comunità finanziaria avesse deciso di erigere un muro tra lei e Washington: «Noi con questa politica non abbiamo nulla a che fare».
Ben Willis, managing director di «Albert Fried & Company», nonostante il suo fare da «cow boy» del Floor, sembra possibilista. «L’economia sta migliorando, ovviamente non alla velocità che tutti vorremmo, o alla velocità con cui questo Paese in passato si è ripreso da periodi recessivi. Anche il numero di lavoratori sta aumentando e gli utili stanno migliorando per le imprese». Però una voce fuori dal coro! La nostra è un'illusione. Ce ne rendiamo conto in tempo reale: allora il discorso di Obama? «Nemmeno l’ho visto».