Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l’economia, sul New York Times di lunedì: “Stiamo per entrare in un mondo diviso non solo tra paesi ricchi e paesi poveri, ma anche tra i paesi che non fanno nulla per diminuire l’ineguaglianza economica interna e quelli che lo fanno. Alcuni paesi riusciranno a raggiungere una prosperità condivisa – l’unico tipo di prosperità che a mio parere sia veramente sostenibile. Altri lasceranno via libera a un’assurda ineguaglianza. In queste ultime società, divise e diseguali, i ricchi si barricheranno in comunità chiuse, quasi completamente separati dai poveri, le cui vite saranno incomprensibili per loro, e viceversa. Ho visitato paesi che sembrano aver scelto questa strada e né le oasi fortificate dei ricchi né le squallide baraccopoli dei poveri mi sono parse luoghi in cui sia piacevole vivere”.
Stiglitz mostra come negli Stati Uniti (che fino ai primi anni ottanta e all’avvento di Ronald Reagan erano il paese con la più prospera classe media del pianeta) quasi tutta la ricchezza sia oggi concentrata nelle mani dell’1% della popolazione, e l’80% sia a rischio povertà. Ciò nonostante, continua, “l’Europa sembra ansiosa di imitare gli americani”. Anche l’Italia?
Il berlusconismo è stato il primo, grande passo nella direzione dello smantellamento dello stato sociale, dell’indebolimento dei vincoli sociali e delle comunità, dell’affermazione di una cultura del successo e dell'individualismo. Grillo o Renzi faranno il secondo passo. Non lo dico perché mi stanno antipatici ma perché questa loro intenzione la dichiarano apertamente. Sono due liberisti e due globalisti; e liberismo e globalizzazione teorizzano e praticano l'ineguaglianza.
C'è ancora tempo per evitare questa deriva ma innanzi tutto occorre rendersi conto che l'ineguaglianza, come dice il titolo dell'articolo di Stiglitz, è una scelta, non un destino
*Professor of Romance Languages and Literatures at Harvard University. Blog:Contro Analisi