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October 5, 2013
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October 5, 2013
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Shutdown, quando il governo stacca la spina

Francesco SemprinibyFrancesco Semprini
Time: 3 mins read

Diamo spazio a questa voce di New York nelle stesse ore in cui sulle tv americane rimbalza l'immagine di Miriam Carey, la donna malata e disarmata che, con tanto di bimba di un anno in auto, ha tenuto in scacco il cuore di Washington. Un caso umano quello della 34 enne, la cui deviazione patologica è stata scambiata per alcuni istanti per premeditata azione anti-istituzionale. La donna ha tentato di forzare le protezioni della Casa Bianca e proprio nel bel mezzo dell'estenuante braccio di ferro tra Barack Obama e i repubblicani del Congresso, alla ricerca di una soluzione per superare l'impasse politica che rischia di trasformarsi in disastro economico e sociale. Basta guardare alla  nostra casa d'origine, dove nonostante l'assenza di supermarket legali delle armi da fuoco, le tensioni politiche sfociano in gesti criminali da parte di disperati o presunti tali. Non è stato il caso di Miriam Carey, ma chi per almeno qualche minuto non ci ha pensato? Del resto siamo in shutdown, gli Stati Uniti hanno staccato la spina, incapaci di sostenere le spese dalla pubblica amministrazione e per questo costretti a sospendere i servizi e mettere a riposo forzato i dipendenti. Il tutto per una inconciliabilità politica molto poco pragmatica e tanto ideologica, non aderente alla tradizione della leadership nazionale.

Al di là delle considerazioni di filosofia politica, ci interessa sottolineare tre aspetti. Il primo riguarda la materia del contendere, la pietra della discordia, ovvero l'Obamacare, la riforma sanitaria tanto voluta da Obama e su cui nessuno è disposto a fare un passo indietro, specie il Tea Party che a dire il vero tiene in ostaggio il resto dei repubblicani. Il punto è che da quando è entrata in vigore, il 1 ottobre, tutti sembrano volerla, siti Internet e call center sono presi d'assalto e la Casa Bianca scommette su sette milioni di iscrizioni entro fine anno. Allora perché tanto accanimento? Vien da chiedersi, se ci sia forse un difetto di rappresentatività. Il secondoaspetto riguarda le strane alleanze che prendono forma. In un'intervista alla Cnbc, Obama spiega che questo shutdown è diverso dagli altri, più pericoloso per i mercati. Si rivolge a Wall Street (tradizionalmente orientata verso la sponda repubblicana del Potomac), spiegando che solo un brivido dei listini può spingere il Gop a fare un passo indietro. Sembra chiedere agli investitori un "hard sell-off", ovvero una raffica di vendite a scopo intimidatorio. 

A loro volta i CEO delle banche, ricevuti alla Casa Bianca, criticano i repubblicani per l'uso strumentale dell'Obamacare. Strana accoppiata! Del resto c'è in ballo il fallimento del Paese, il cosiddetto «default», il rischio di non alzare il tetto di debito e poter pagare gli interessi sull'emissione obbligazionaria del Tesoro. Se lo shutdown vuol dire staccare per un po' la spina e, magari rimandare la visita a Yellowstone a causa della chiusura parco, il fallimento vuol dire andare a gambe all'aria, finire nel tritacarne della "triplice" del rating, e ripiombare in recessione. Una prospettiva che terroririzza i repubblicani moderati, come lo speaker John Boehner, che si starebbe muovendo per smarcarsi dagli ultra-con e giungere a un'intesa trasversale. Un po' come nelle più recenti vicende italiane ha fatto Silvio Berlusconi, se proprio vogliamo fare paragoni. Del resto tutti lo hanno detto, dai think tank alle Cassandre di Wall Street: se per ora i mercati hanno metabolizzato lo shutdown, sul default sono pronti a far saltare il banco.

Anche il FMI si è fatto sentire: il direttore Christine Lagarde, avverte che le ripercussioni saranno globali, e così – questo è il terzo punto – l'America si riscopre al centro del mondo, perchè una sua ricaduta causerebbe il crak planetario. Altro che Europa, perenne maglia nera della crisi, semi-riabilitata anche dai dottori di Bretton Woods, che anzi diagnosticano sintomi di ripresa per l'area a moneta unica. Con le dovute eccezioni sia ben inteso, come l'Italia che rimane osservata speciale assieme agli Usa e che, come gli Usa – e questo è l'inconfutabile punto in comune – è tra le tre Nazioni più indebitate al mondo. Sarà un caso?  

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Francesco Semprini

Francesco Semprini

Francesco Semprini è inviato internazionale per La Stampa. Nato e cresciuto a Roma si è trasferito vent'anni fa a New York dove ha perfezionato gli studi economici, per poi occuparsi di politica e finanza americana. Ha trascorso l'ultimo decennio raccontando conflitti e crisi geopolitiche da tutto il mondo. Tra le altre quelle in Iraq, Afghanistan, Siria, Venezuela, Libano, Kosovo, Libia, Pakistan, Haiti. E' corrispondente presso le Nazioni Unite da dove scrive di relazioni diplomatiche. Francesco Semprini is a long time international correspondent with La Stampa. Born and raised in Rome he moved to New York twenty years ago. He spent the last decade covering geopolitical crises and conflicts around the world. Among the others in Iraq, Afghanistan, Syria, Venezuela, Lebanon, Kosovo, Libya, Pakistan, Haiti. He is based at the United Nations from where he writes about current and diplomatic affairs.

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