Si erano preparati da tempo, avevano letto oltre 200.000 pubblicazioni fatte dagli scienziati italiani dal 2004 al 2010. Erano i 450 esperti in varie discipline scientifiche, dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca) cui il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) aveva demandato il compito di valutare. Ora il loro lavoro era pronto, avevano speso un po’, circa 300 mln di euro tra costi diretti e indiretti (fonte www.roars.it), ma il risultato sembrava veramente encomiabile: finalmente anche l’Italia avrebbe avuto la sua Valutazione sulla Qualità della Ricerca (VQR). In tutti i paesi con un’economia avanzata c’è un sistema di valutazione della ricerca. L’Italia si avviava sulla strada della normalità, si conformava alla regola o alle consuetudini che sono anche presenti in altri paesi. Lo so che in Italia la parola “normale” è sinonimo di “pochezza”, ma tant’è qualcosa bisogna pur fare per adeguarsi agli altri paesi economicamente e industrialmente più competitivi; siamo o no tra gli otto paesi più industrializzati?
La strada da percorrere era assai semplice: il Ministro e poi il Parlamento dovevano decidere come distribuire in modo efficiente, le risorse per l’Università. Avrebbero creato un’Agenzia di valutazione indipendente, responsabile delle procedure di valutazione, almeno per stanziare le risorse necessarie (una quota molto piccola 1-2% rispetto al totale delle risorse disponibili per la ricerca nel suo complesso).
L’Agenzia avrebbe organizzato la valutazione, avrebbe scelto le metodologie e le tecniche della valutazione tra quelle disponibili e note a livello internazionale, magari adattandole al contesto. Per organizzare la peer review (strumento usato dagli scienziati per valutare il lavoro, utilizzando un giudizio fatto tra persone della stessa disciplina) avrebbe nominato dei gruppi di esperti che avrebbero verificato le procedure. Nel caso in cui si fosse pensato di utilizzare strumenti bibliometrici, li avrebbe verificati e discussi con gli esperti di settore. Analogamente se avesse voluto utilizzare classifiche di riviste e sedi editoriali di pubblicazione, avrebbe costruito classifiche di riviste assieme alle comunità scientifica.
Il risultato di questo esercizio di valutazione sarebbe stato portato al Ministro che si sarebbe letto i dati della valutazione e li avrebbe utilizzati per decidere gli interventi di finanziamento. In tal modo si sarebbe separata la responsabilità della politica (distribuzione delle risorse, decisioni generali sull’organizzazione della ricerca), da quelle dell’Agenzia che, invece, avrebbe avuto il complesso compito di svolgere un esercizio di valutazione i cui risultati sarebbero stati giudicati credibili dalla comunità dei valutati.
Invece no, per evitare la pochezza della normalità, il ministro (Gelmini) decide di utilizzare l’ANVUR, creato dal suo predecessore (Mussi), scrivendo un decreto che dà il via alla valutazione. Contrariamente a come fanno i paesi normali nel decreto, ci sono scritte le metodologie di valutazione e gli strumenti. Nessuno azzarda un’obiezione: l’ha detto il ministro è il decreto. L’ANVUR crea i Gruppi di Esperti della valutazione suddivisi in quattordici aree scientifiche, ognuno con il suo presidente.
Il 16 luglio 2013 vengono presentati i risultati del lavoro dell’ANVUR. L’attesa è spasmodica. I rettori pensano: come sarà valutata la mia Università, sopra o sotto la soglia della decenza (valore medio normalizzato a uno); sarò ancora rettore se sono sotto? I presidenti degli enti di ricerca e dei consorzi si chiedono se ancora il loro ente o consorzio sarà vivo dopo la lettura della valutazione?
Il ministro (Carrozza) presenta i risultati. Le squadre fremono mentre si dà lettura dei criteri assegnati. Alla fine come si deve a un paese che normale non è, tutti hanno di che vantarsi: almeno in un settore eccellono. Grandi, medie e piccole università possono dimostrare che hanno almeno un settore in cui eccellono. Analogamente gli Enti di ricerca e i consorzi. L’unico che non lo può fare è il CNR, il massimo ente di ricerca italiano, quello generalista per eccellenza, che esce battuto come previsto, per effetto delle scelte fatte dal Ministro e dall’ANVUR e per la metodica utilizzata. Eppure è l’unico ente italiano che nelle classifiche internazionali (SCIMAGO 2012) si pone al ventunesimo posto. Purtroppo è la dura legge della “normalità” che regola le cose italiane: tutto è normale purché sia straordinario.