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April 30, 2025
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Mohsen Mahdawi è libero, ma sui deportati Trump va allo scontro istituzionale

Un giudice federale ha scarcerato lo studente della Columbia, l'amministrazione vuole deportarlo

Alessandra QuattrocchibyAlessandra Quattrocchi
Mohsen Mahdawi è libero, ma sui deportati Trump va allo scontro istituzionale

Manhattan demonstration for the release of Mohsen Mahdawi and Mahmoud Khalil, 15 april 2025 /REUTERS

Time: 6 mins read

Mohsen Mahdawi, uno degli organizzatori del movimento pro-palestinese presso la Columbia University, è stato rilasciato dalla custodia federale mercoledì, mentre le autorità dell’immigrazione cercano di revocargli la green card nell’ambito di una repressione sempre più ampia contro gli studenti manifestanti.

Decidendo di rilasciare lo studente palestinese su cauzione, il giudice Geoffrey W. Crawford del Tribunale Distrettuale Federale del Vermont ha stabilito che non rappresenta un pericolo per la collettività né un rischio di fuga. Il giudice ha tracciato un parallelo tra l’attuale clima politico e il maccartismo, definendolo “non il momento di cui andare più fieri”. Il processo contro Mahdawi continuerà, hanno dichiarato i suoi avvocati, ma ora potrà affrontarlo da libero, fuori dal centro di detenzione.

Il rilascio di Mahdawi rappresenta una sconfitta per l’amministrazione Trump, anche se altri studenti restano in detenzione nell’ambito della campagna governativa, come Mahmoud Khalil e Rümeysa Öztürk. Altri, come Yunseo Chung e Felipe Zapata Velásquez, hanno lasciato volontariamente il paese per evitare persecuzioni. L’amministrazione Trump ha intensificato in particolare le deportazioni di studenti stranieri e residenti legali coinvolti in proteste pro-Palestina o critici nei confronti delle politiche statunitensi.

Nel discorso in Michigan per festeggiare i primi 100 giorni del Trump 2.0, martedì il presidente degli Stati Uniti fra gli altri “successi” di questi primi mesi ha citato proprio la lotta all’immigrazione, proiettando anche un video che mostrava immigrati venezuelani deportati dagli Stati Uniti e inviati nella famigerata prigione di Cecot in El Salvador, condito da musica in stile Hollywoodiano… e dagli applausi fragorosi del suo pubblico.

Però, il grande centro sportivo ed espositivo di Warren, vicino a Detroit, era pieno solo a metà, e come spesso, molti se ne sono andati prima della fine del suo discorso – quasi un’ora e mezza di comizio autoelogiativo. I sondaggi d’opinione adesso valutano la popolarità di Trump al 41%, il risultato peggiore dopo 100 giorni dai tempi di Eisenhower. Su tutto lo spettro dell’azione amministrativa la fiducia degli elettori è in calo. E anche la questione migranti – 60% di approvazione in dicembre – ora si ferma al 53% secondo i dati di CNN. L’elettorato in maggioranza vuole ancora la deportazione dei migranti illegali, ma sempre più persone si fanno domande sia sui metodi della Casa Bianca, sia sui soggetti presi di mira.

Espulsioni di massa da parte dell'amministrazione Trump / Ansa
Espulsioni di massa da parte dell’amministrazione Trump / Ansa

In un’intervista andata in onda martedì sera su ABC, Donald Trump ha ammesso che “potrebbe” far tornare Kilmar Ábrego García – l’uomo del Maryland che la sua amministrazione ha dichiarato in tribunale essere stato deportato per errore in El Salvador – ma ha affermato che non lo farà. Ha ribadito – senza prove – che Ábrego García è un membro della gang MS-13 e che “non è un gentile e innocente signore del Maryland”. Gli avvocati di Ábrego García fanno rilevare che non è affiliato alla MS-13 e che non è mai stato accusato né condannato per alcun crimine. Il giornalista Terry Moran ha indicato il telefono sulla scrivania dicendo a Trump: “Potrebbe farlo tornare. C’è un telefono su questa scrivania”. Trump ha risposto: “Potrei”. “Potrebbe con tutto il potere della presidenza, chiamare il presidente di El Salvador e dire: ‘Rimandalo indietro immediatamente’,” ha continuato Moran. Il presidente ha replicato: “E se fosse il gentiluomo che lei dice, lo farei. Ma non sono io a prendere questa decisione… Volete che segua la legge. Se fossi un presidente che fa solo quello che vuole, probabilmente lo terrei proprio dove si trova.”

La questione di Abrego Garcia – protetto da “withholding of Removal”, una forma di protezione umanitaria, sposato a un’americana – è ora forse la più scottante perché il giovane è già fuori dal territorio Usa e perché mette in piena luce lo scontro fra Trump e la magistratura: non solo la giudice Paula Xinis chiede dettagli sugli sforzi della Casa Bianca per riportarlo in Usa ma la stessa Corte Suprema ha indicato che l’uomo dovrebbe tornare. La posizione ufficiale della Casa Bianca in tribunale è che solo il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, possa disporre il rilascio di un cittadino salvadoregno da una prigione salvadoregna. E Bukele alla Casa Bianca la settimana scorsa in una sorta di teatrino delle parti ha affermato che non intende liberare “un terrorista”.

Conflitto istituzionale dunque: secondo Joey Jackson, analista legale della CNN e avvocato penalista, le parole di Trump su Abrego Garcia sono “bizzarre, fantascientifiche”. “La realtà è che ci troviamo in una crisi costituzionale proprio in questo momento, è una realtà evidente e palese. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha ordinato di facilitare il processo di rientro. Possiamo discutere su cosa intendiamo con ‘facilitare’, ma è chiaro cosa si debba fare: sollevare il telefono sarebbe sufficiente. Quando il presidente degli Stati Uniti ignora un altro potere dello Stato, è molto preoccupante”.

Consideriamo che il caso di Abrego Garcia è solo uno di tanti. Negli ultimi due mesi, l’amministrazione Trump ha intensificato le sue politiche migratorie, adottando misure che hanno sollevato preoccupazioni tra organizzazioni per i diritti umani e comunità internazionali. L’amministrazione ha invocato l’Alien Enemies Act del 1798 per giustificare la deportazione sommaria di centinaia di migranti venezuelani, accusati di appartenere alla gang Tren de Aragua. Questa legge, raramente utilizzata nella storia degli Stati Uniti, consente la detenzione e l’espulsione di cittadini di paesi in guerra con gli Stati Uniti. Anche la Corte Suprema ha dichiarato non lecito l’uso dell’Enemies Act per deportare migranti.

Un tribunale federale ha recentemente bloccato il trasferimento di tre migranti venezuelani alla base navale di Guantánamo, a Cuba. Le autorità statunitensi avevano pianificato il trasferimento basandosi anche qui su accuse non verificate di affiliazione alla gang Tren de Aragua.

Il Senato degli Stati Uniti – a maggioranza repubblicana – ha approvato il Laken Riley Act, una legge che prevede l’arresto e la detenzione di migranti irregolari accusati di reati minori, come il furto o il taccheggio, fino alla loro espulsione.

Il 25 aprile, pochi giorni fa l’amministrazione Trump ha revocato lo status di protezione umanitaria e i visti di lavoro concessi a oltre 500.000 migranti provenienti da paesi come Venezuela, Nicaragua, Haiti e Cuba. Queste persone, che erano entrate legalmente negli Stati Uniti durante l’amministrazione Biden, hanno ora 30 giorni per lasciare il paese o rischiano l’arresto. La decisione ha lasciato migliaia di famiglie in una situazione di incertezza e vulnerabilità.​

L’amministrazione ha iniziato le espulsioni di migranti utilizzando aerei militari, pubblicando immagini di immigrati incatenati durante il rimpatrio; la prima foto è stata pubblicata sull’account X della Casa Bianca col messaggio “Promesse fatte, promesse mantenute”. Chi erano quelle persone, che reati avevano commesso, se ne avevano commessi, è difficile da ricostruire.

Migranti espulsi dagli USA, la foto distribuita dalla Casa Bianca all’inizio delle deportazioni

Sono misure spesso in contrasto con i principi fondamentali dei diritti umani, e per questo sono criticate aspramente da parte di organizzazioni civili e comunità globali, ma anche dai tribunali federali. È importante ricordare che le deportazioni a torto o a ragione di migranti senza visto, come anche il blocco della frontiera col Messico, hanno fatto parte della politica sia di Obama che di Biden. Trump però non solo sfida le leggi, ma se ne vanta, con la semplice giustificazione, come dice, che “sono stato eletto su questa piattaforma”: la legittimità dunque gli viene dal popolo.

Di queste persone per cui l’avvento di Trump è stato un cataclisma spesso imprevisto​ alcune sono salite agli onori delle cronache. Il 25 aprile 2025, tre bambini nati negli Stati Uniti, e dunque cittadini americani, di età compresa tra 2 e 7 anni, sono stati deportati in Honduras insieme alle loro madri – non cittadine – senza un adeguato processo legale. Tra loro, una bambina di 4 anni affetta da cancro in stadio avanzato è stata rimpatriata senza accesso alle cure mediche necessarie. Le deportazioni sono avvenute nelle prime ore del mattino, prima dell’apertura dei tribunali, impedendo qualsiasi intervento legale.

Yorely Bernal e Maiker Espinoza, una coppia venezuelana, sono stati deportati separatamente in El Salvador e Venezuela, lasciando la loro figlia di 2 anni, Maikelys Antonella Espinoza Bernal, negli Stati Uniti sotto custodia affidataria. Le autorità statunitensi hanno giustificato la deportazione sostenendo, senza prove concrete, che la coppia fosse affiliata alla gang Tren de Aragua.

Donald Trump/ANSA

Nei primi 100 giorni del suo secondo mandato, l’amministrazione Trump ha deportato 142.000 persone e detenuto 158.000 immigrati irregolari. Molti di questi individui non avevano precedenti penali gravi. Le autorità hanno anche effettuato raid in luoghi di lavoro, arrestando oltre 1.000 persone e imponendo multe significative alle aziende.

A parte la sofferenza umana, è rilevante che il presidente degli Stato Uniti nei suoi primi 100 giorni abbia deciso – in questi e in altri casi – di ignorare il rispetto delle convenzioni internazionali e il concetto stesso di habeas corpus, il principio per cui nessuno può essere arrestato senza una incriminazione e condannato senza processo. Ma ancora più preoccupante è la guerra con la magistratura: l’equilibrio fra potere esecutivo, legislativo e giudiziario è il fondamento della democrazia, e un presidente che ignora le sentenze dei giudici che si richiamano alla legge, non si comporta più da presidente ma da monarca assoluto.

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Alessandra Quattrocchi

Alessandra Quattrocchi

Giornalista e scrittrice, si occupa di politica nazionale e internazionale, cultura, società lingua e letteratura Alessandra Quattrocchi is a journalist, essayist, videomaker and storyteller. She deals mainly in politics, literature and the arts.

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