Prima lo scoop del Washington Post: Donald Trump e Vladimir Putin avrebbero discusso telefonicamente della guerra in Ucraina. Poi la smentita del Cremlino: “Nessuna conversazione, tutto falso”.
Resta avvolto nel mistero il presunto contatto tra il presidente-eletto repubblicano e il leader russo. Durante il colloquio, che secondo il quotidiano capitolino si sarebbe svolto giovedì, Trump avrebbe messo in guardia Putin dal provocare “un’ulteriore escalation” del conflitto avvertendo il Cremlino della massiccia “presenza militare americana in Europa”, ma al contempo dimostrando “interesse per ulteriori conversazioni” per una “risoluzione rapida della guerra in Ucraina.”
Un obiettivo, quello di far finire la guerra “nel giro di 24 ore”, su cui il tycoon newyorkese ha fondato la politica estera del suo riapprodo a Pennsylvania Avenue. E su cui, a meno di 70 giorni dall’insediamento ufficiale alla Casa Bianca, si sarebbe già alacremente messo al lavoro.
A dimostrarlo un’altra telefonata, quella di mercoledì con Volodymyr Zelensky, che il presidente ucraino ha definito “eccellente” e in cui i due capi di Stato (più Elon Musk) avrebbero concordato di “mantenere uno stretto dialogo”, secondo quanto lo stesso Zelensky ha più tardi scritto su X.
Poche ore dopo, è stata invece la volta di Putin. O forse no. Perché a detta del suo portavoce, Dmitrij Peskov, quella telefonata non c’è mai stata. ”Informazioni assolutamente infondate, pura fantasia, completamente false”, il climax del portavoce presidenziale durante un incontro con i giornalisti lunedì.
Secondo Abbas Gallyamov, ex speechwriter di Putin divenuto avversario dello “zar”, dietro il negazionismo del Cremlino potrebbe esserci proprio quell’infausto ammonimento sulle truppe statunitensi in Europa. “Sembra – ha spiegato Gallyamov al Washington Post – che Trump stia minacciando Putin. Se Mosca accettasse almeno in parte la proposta di Trump, risulterebbe che lo abbia fatto sotto pressione”.
Dai collaboratori di Trump è arrivato invece un no comment che sa di mezza conferma. “Non commentiamo le chiamate private tra il presidente Trump e altri leader mondiali”, ha risposto ai reporter il direttore delle comunicazioni Steven Cheung.
Dal palco del Forum di Valdai, era stato proprio Putin a rompere il ghiaccio congratulandosi con il neo-presidente e sostenendo di essere “pronto” a dialogare con lui. “Ciò che ha detto sul desiderio di ripristinare le relazioni con la Russia, di porre fine alla crisi ucraina, secondo me merita almeno attenzione”, aveva affermato giovedì il 72enne pietroburghese, dettosi inoltre pronto a riallacciare i contatti se anche l’amministrazione Trump l’avesse voluto.
Le strategie di Trump e quella del Cremlino sembrano peraltro collimare in più di un punto, anche sul piano retorico. In campagna elettorale “The Donald” ha ferocemente accusato il predecessore/successore democratico Joe Biden di voler trascinare il mondo in una guerra mondiale e sarcasticamente descritto Zelensky come “il miglior venditore del mondo” per aver sottratto ai contribuenti americani circa 174 miliardi di dollari in aiuti.
Il piano concreto per costringere Ucraina e Russia a fermarsi non è però ancora di dominio pubblico. “Non posso svelarvi i piani, perché altrimenti non li potrò utilizzare,” il mantra dei suoi comizi. Come ha riportato il Wall Street Journal, fonti vicine al team di transizione di Trump suggeriscono che i suoi consiglieri stiano valutando diverse soluzioni, tutte mirate a fermare il conflitto nel più breve tempo possibile.
Una delle idee più discusse consiste nel congelare l’adesione dell’Ucraina alla NATO per almeno vent’anni, in cambio della garanzia dell’assistenza militare americana per prevenire ulteriori aggressioni russe. La proposta comporterebbe inoltre la cristallizzazione dell’attuale linea di contatto e la creazione di una zona demilitarizzata di circa 1.300 chilometri tra le truppe russe e ucraine, una sorta di “terra di nessuno” da affidare alla sorveglianza di quei Paesi europei che, secondo Trump, avrebbero per troppo tempo addossato a Washington l’onere della propria sicurezza regionale.
Da Mosca trapela un cauto ottimismo. Peskov ha sottolineato che, rispetto a Biden. “Trump parla di accordi, non di sconfitta strategica.” “Non sappiamo se manterrà le sue promesse, ma almeno non parla di infliggerci sconfitte.”
Ma il Cremlino sa pure che il repubblicano, per quanto risoluto a tirarsi fuori dal pantano ucraino, non tollererà débâcle come il burrascoso ritiro dall’Afghanistan del 2021 (che secondo Trump “ha fatto crollare la credibilità e il rispetto per gli americani in tutto il mondo”). Va da sé perciò che le diplomazie dovranno lavorare a una exit strategy che salvi la faccia di Washington e non appaia troppo filo-russa.
A Kyiv, invece, domina l’apprensione. Al vertice della Comunità politica europea a Budapest, Zelensky ha avvertito che una “fine rapida delle ostilità si trasformerebbe in una disfatta” e che “costringere l’Ucraina a fare concessioni sarebbe inaccettabile per l’Ucraina stessa e una mossa suicida per tutta l’Europa”. A poco rincuora lo sforzo in extremis dell’amministrazione Biden di accelerare il flusso di aiuti per far arrivare entro la scadenza del mandato democratico tutti i sei miliardi già stanziati.
Inquieta anche la situazione sul terreno: circa 50.000 soldati (tra cui 10.000 soldati nordcoreani) si stanno preparando a lanciare una nuova controffensiva per respingere le forze ucraine dalla regione russa di Kursk, che Kyiv è riuscita in parte ad occupare con un blitz di tre mesi fa.
Domenica, intanto, l’Ucraina ha lanciato un massiccio attacco con droni che ha colpito sei regioni russe, ferendo una ventina di persone e costringendo alla temporanea chiusura di tre aeroporti nella capitale Mosca.