Alla fine è arrivato anche Putin.
Dopo che quasi tutti i leader globali avevano già espresso le loro felicitazioni per la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali USA, con qualche ora di ritardo anche il leader russo si è congratulato con il repubblicano. E dal Forum di Valdai, nel sud della Russia, ha detto di essere “pronto” a dialogare con lui.
“Colgo l’occasione per congratularmi con lui,” ha dichiarato giovedì Putin a Sochi, elogiando Trump per il coraggio dimostrato dopo l’attentato al comizio tenuto il 13 luglio a Butler, in Pennsylvania. “In circostanze straordinarie,” ha spiegato, “le persone rivelano chi sono davvero, e Trump si è mostrato, a mio avviso, un uomo coraggioso, come si addice a un vero uomo.”
La dichiarazione segna un curioso cambio di passo per il presidente russo, che in passato aveva espresso preferenza per una continuità democratica alla Casa Bianca. Solo pochi mesi fa, Putin indicava Joe Biden o addirittura Kamala Harris come figure più vantaggiose per la Russia – anche se in molti sospettavano si trattasse di un endorsement velatamente sarcastico.
La storia tra Trump e il Cremlino è lunga e controversa. Nel 2016, l’ombra dell’ingerenza russa a favore della prima campagna presidenziale del tycoon newyorkese aveva suscitato forti tensioni e una maxi-indagine – il Russiagate – conclusasi in un nulla di fatto. E ora, di fronte a una sua seconda presidenza, Mosca sembra voler aprire la porta a una rinnovata alleanza.
Al centro ci sono le posizioni dell’ex presidente sull’Ucraina. Trump ha promesso di chiudere il conflitto entro “24 ore” dal suo insediamento, e durante la campagna elettorale non ha mancato di criticare duramente la strategia di Biden, accusando il presidente democratico di alimentare un’escalation pericolosa che rischia di trascinare il mondo in una guerra globale. A più riprese, Trump ha descritto l’esecutivo di Zelensky come un “approfittatore” degli aiuti americani, ritenendo ingiusto il flusso di miliardi in armi senza alcun tornaconto per gli Stati Uniti.
Il piano concreto per costringere Ucraina e Russia a negoziare rimane però avvolto nel mistero. “Non posso svelarvi i piani, perché altrimenti non li potrò utilizzare,” ha ripetuto in campagna elettorale. Come riporta il Wall Street Journal, fonti vicine al team di transizione di Trump suggeriscono che i suoi consiglieri stiano valutando diverse soluzioni, tutte mirate a fermare il conflitto nel più breve tempo possibile.
Una delle idee più discusse consiste nel congelare l’adesione dell’Ucraina alla NATO per almeno vent’anni, in cambio di una continua assistenza militare americana per prevenire ulteriori aggressioni russe. La proposta comporterebbe inoltre la cristallizzazione dell’attuale linea di contatto e la creazione di una zona demilitarizzata di circa 1.300 chilometri tra le truppe russe e ucraine, una sorta di “terra di nessuno” da affidare alla sorveglianza europea (un consigliere di Trump ha già escluso la presenza di truppe americane in questa zona, suggerendo che ad occuparsene debbano essere appunto gli europei).
All’interno della squadra di Trump, le opinioni si dividono: da un lato Richard Grenell, tra i principali candidati alla guida del Consiglio di Sicurezza Nazionale, che spinge per una soluzione immediata e pragmatica, anche a costo di imporre concessioni rilevanti a Kyiv; dall’altro Mike Pompeo, ex segretario di Stato e favorito per la guida del Pentagono, che sostiene la necessità di un accordo che non appaia come un inchino al Cremlino.
Alcuni membri della NATO esprimono forti perplessità di fronte a una trattativa che potrebbe consegnare a Mosca fino a un quinto del territorio sovrano ucraino. Elina Valtonen, ministra degli Esteri della Finlandia, ha chiarito che qualsiasi negoziato dovrà avere luogo solo con l’assenso dell’Ucraina e senza pressioni esterne di Washington.
Volodymyr Zelensky, dal canto suo, si trova tra l’incudine e il martello. Da un lato, il leader ucraino potrebbe essere costretto a scendere a patti per mantenere il supporto statunitense, dall’altro a fronteggiare un’opinione pubblica che vede ogni concessione territoriale come una resa totale a Mosca.
Se Trump dovesse riuscire a implementare le sue strategie, l’equilibrio geopolitico europeo potrebbe subire un profondo cambiamento. La Casa Bianca, pur mantenendo il ruolo di supervisore, apparirebbe sempre più determinata a ridurre l’impegno diretto in Ucraina, delegando la stabilità dell’Est Europa ai Paesi alleati. Ma l’assenza di una linea definita, le divergenze all’interno del suo entourage e l’instabilità sul campo rendono la sfida diplomatica di Trump tanto ambiziosa quanto fragile.