Oggi sono oggetti da collezione che soggiornano in teche o su mensole in quieti ambienti, ma dal 13 agosto 1961 al 9 novembre 1989 il loro insieme rappresentò internazionalmente un simbolo di clausura e paura: il muro di Berlino. Dal 1990 i suoi pezzi sono stati trasformati in memorabilia nella manifattura a nord della città – con vernice applicata in un secondo tempo, poiché quella originale è andata ormai sbiadita – e attualmente si possono acquistare su Amazon a prezzi che, in verità, i primi raccoglitori immaginavano si sarebbero invece impennati negli anni: dai 13 ai 68 euro circa.
Nell’autobiografia Born to run, così ricorda Bruce Springsteen: “La potenza di un muro che spaccava il mondo in due, la sua realtà brusca, orribile e ipnotica, non andava sottovalutata. Era un insulto all’umanità e aveva un che di pornografico: dopo averlo visto, non riuscivi più a liberarti dell’odore. Alcuni membri della band ne furono profondamente turbati, e quando cambiammo città il sospiro di sollievo fu collettivo”.
Con il muro, in quella notte invernale del 1989 cadde anche la cortina di ferro che, dopo il secondo conflitto mondiale, aveva comunque mantenuto un clima da cosiddetta “guerra fredda” tra per 44 anni. La definizione è del giornalista premio Pulitzer americano Walter Lippmann, che nel ’47 così sintetizzò lo stato delle relazioni internazionali tra l’Unione Sovietica, che aveva occupato l’Europa orientale, e gli Stati Uniti, leader dell’Occidente democratico (The Cold War: A study in U.S. Foreign Policy).
A precorrere le cronache berlinesi fu la rivoluzione pacifica di Lipsia, dove, il 9 ottobre 1989, dopo aver pregato per la pace in diverse chiese, oltre 70.000 persone con candele in mano, si riunirono per manifestare al grido di “Wir sind das Volk” (Noi siamo il popolo) e “Keine Gewalt” (No alla violenza).
A 35 anni dai fatti, la Germania li ricorda con numerose iniziative a Berlino, Lipsia, Schwerin e altre città: mostre e cerimonie, spettacoli all’aperto, convegni e workshop, arricchiti da una giornata – il 9 novembre – che prevede un’interazione collettiva, presentando striscioni, cimeli e quanto relativo alla data commemorata, nei luoghi più emblematici, come il Memorial muro di Berlino e il “fu” Checkpoint Charlie.
Sono in programma esposizioni temporanee e permanenti, tra cui “Berlin Global” all’Humboldt Forum, per raccontare la storia della città, “1961-1989 The Berlin Wall”, uno spazio di 420 metri quadrati dedicato alla storia della divisione di Berlino, “Heavy metal in the GDR”, mostra interattiva fino al 9 febbraio 2025, Museo della Kulturbrauerei, che esplora la scena underground heavy metal sviluppatasi nella repressiva DDR un decennio prima della caduta del muro
Dal 9 novembre ‘89 e per i mesi successivi la “Barriera di difesa antifascista” (questo il nome ufficiale, Antifaschistischer Schutzwall) perse, dunque, pezzo dopo pezzo: cosa ne rimane oggi? Circa un chilometro, conservato come monumento di un passato cupo e riletto come una galleria a cielo aperto, la East Side Gallery, con oltre cento murales, alcuni dei quali divenuti iconici: “The Mortal Kiss” di Dimitrji Vrubel, che ritrae Erich Honecker e Leonid Breznev che si baciano sulla bocca, e “Test the Best” di Birgit Kinder, a raffigurare una Trabant che sfonda il muro.
E forse non tutti sanno che alcune parti sono state portate in vari luoghi del mondo, a simboleggiare l’unità che supera le divisioni, e due sono visibili al Parlamento di Bruxelles, accanto all’ingresso visitatori; uno, rimosso dalla sua collocazione originaria in Potsdamer Platz, è stato donato dalla città di Berlino come gesto per celebrare la riunificazione europea ed è stato presentato al pubblico il 22 aprile 2004, giorno precedente l’adesione di dieci nuovi paesi all’Unione europea. Il secondo pezzo faceva parte di una mostra organizzata in place du Luxembourg per il 20º anniversario della caduta del muro, nel novembre 2009; ad esposizione conclusa, è stato acquistato dallo Stato belga, mentre un ulteriore pezzo, anch’esso proveniente dalla mostra, è stato acquistato dalla Commissione europea ed è ora esposto di fronte alla sua sede, l’edificio Berlaymont.
Memoria e cultura: questi sono i capisaldi del calendario per i 35 anni della ricorrenza, ma la guerra fredda è veramente archiviata? Forse ha solo un altro nome, tuttavia allo scorso agosto risale il più grande scambio di prigionieri tra USA e Russia dal crollo del muro: sedici detenuti nelle terre dello zar in cambio di otto russi detenuti in Occidente. Nello specifico, Mosca ha rilasciato giornalisti accusati di spionaggio, attivisti e dissidenti russi (uno per tutti, Oleg Orlov, tra i fondatori dell’associazione per i diritti umani Memorial, premio Nobel per la pace nel 2022), ottenendo il rientro di criminali condannati dai tribunali europei e sospette spie.