Pensieri sparsi, “fissati” nelle ore a cavallo del 2023 e il 2024. Con animo turbinoso: un ibrido che fa suo il motto solitamente attribuito ad Antonio Gramsci, coniato invece da Romain Rolland, dimenticato premio Nobel per la Letteratura 1915: “Il pessimismo dell’intelligenza, l’ottimismo della volontà”. S’aggiunga la riflessione su uno dei tre più grandi autori che la letteratura italiana ha regalato al mondo: Alessandro Manzoni (gli altri due sono Dante Alighieri e Luigi Pirandello).
1) Manzoni e la sua opera sono preziose stelle polari, per orientarci nel “guazzabuglio del cuore umano”. Da attento osservatore svela meccanismi che oggi sono ben conosciuti e indagati dagli scienziati sociali: a cominciare dalle distorsioni cognitive (il bias): sistematiche deviazioni dalla norma o dalla razionalità nei processi mentali di giudizio: la tendenza a creare una propria realtà soggettiva che spesso non corrisponde all’evidenza, sviluppata com’è sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro. Un processo che porta a
errori di valutazione, a mancanza di oggettività di giudizio.
2) Stati Uniti – Bias sempre più raffinati, insinuanti, incontrollati, incontrollabili. Che fortuna, dunque che i padri costituenti dell’edificio istituzionale che “governa” gli Stati Uniti d’America – ispirati da chissà quale premonizione o sesto senso – abbiano stabilito nell’articolo 2 della Costituzione che tra i requisiti necessari per poter ricoprire la carica di Presidente, vi sia essere cittadini statunitensi sin dalla nascita. Senza questo requisito un personaggio come Elon Musk avrebbe potuto agevolmente soggiornare anche solo per quattro anni alla Casa Bianca; e corre irrefrenabile un brivido di inquietudine e paura lungo la schiena.
A proposito di brividi. Donald Trump è senza timore di smentita il peggiore dei Presidenti che gli Stati Uniti abbiano avuto. Autore e responsabile di “gesta” che fanno impallidire precedenti come quelli di Herbert Hoover responsabile con il suo Smoot-Hawley Tariff Act della Grande Depressione del 1929. Nella lista dei peggiori e inetti distanzia agevolmente i vari Warren G. Harding, Franklin Pierce, James Buchanan, Richard Nixon. È interminabile l’elenco di quello che si può e si deve imputare a Trump, ma basta il suo comportamento in occasione dell’assalto a Capitol Hill: nelle ore precedenti, durante, nelle successive. Solo per questo meriterebbe conseguenze e sanzioni penali. Invece, a meno di clamorosi e improbabili abbagli dei sondaggisti politici, ha concrete possibilità di essere rieletto presidente. Com’è possibile che almeno una metà di elettorato gli dia ancora credito, fiducia; lo ritenga idoneo a reggere le sorti del Paese e della democrazia più forte del mondo?
Si dice che l’elettore medio americano sia sensibile alla quantità di dollari che si trova in tasca, quello sia il principale metro di valore per le sue scelte elettorali. Se è così, come si spiega che Joe Biden sembra essere in svantaggio rispetto a Trump? Tutti gli indicatori certificano che l’economia va bene, in gran vantaggio rispetto a quelle di Europa e Cina. Il mercato del lavoro non è un problema, i salari aumentano. Anche sul versante dell’ambiente e la sua tutela gli USA fanno più di quello che fanno Europa e Cina. Allora perché giovani, classi lavoratrici, minoranze nere, ispaniche, asiatiche, mostrano sentimenti di insofferenza e insoddisfazione nei confronti di Biden e disposte a dare chances a Trump? Quel Trump (questo solo basterebbe per votare un candidato democratico quale esso sia) che ha già promesso di essere e fare “il dittatore, ma solo per un giorno”. Un Trump arrogante, presuntuoso oltre ogni misura al punto di sottrarsi al confronto con i suoi rivali di partito e non partecipa ai dibattiti in Iowa e New Hampshire. Perché chi dà credito a Bernie Sanders, 82 anni, contesta Biden “colpevole” di averne 81 anni, e “assolve” Trump, che ne ha 77? Come mai quattro anni di amministrazione Biden non hanno ricomposto ma anzi hanno ulteriormente polarizzato la società americana? Come mai il Partito Democratico non sa esprimere concrete alternative a Biden? Come maiil Partito Repubblicano si è ridotto a una setta estremista e fanatica che nulla ha a che spartire con i Dwight Eisenhower, ma anche con i Ronald Reagan, i George Bush padre e perfino figlio?
È motivo di conforto che alcune istituzioni come quelle degli Stati del Colorado e del Maine non si facciano intimidire e riservino a Trump il trattamento che merita, sfidando impopolarità e denigrazione; ma quand’anche questa via si rivelasse praticabile (ma è improbabile che la Corte Suprema, a netta maggioranza conservatrice-trumpista dia loro ragione), la questione principale è il malessere e la divisione che serpeggiano nel paese; un veleno che ha conseguenze nell’intero pianeta: quello che accade a Washington ha inevitabilmente riguarda tutto il resto del mondo.
3) Democrazia. Come ampiamente dimostrato, la democrazia non si esporta, non si impone. È un processo lento che ognuno deve conquistare, e poi va consolidata, difesa, nutrita. Tuttavia, la democrazia può essere aiutata: significa sostenere, difendere, consigliare i democratici che nelle singole realtà si battono per la conquista e l’affermazione di quei diritti che non sono loro riconosciuti.
4) Ucraina. Quello di Volodymyr Zelensky certamente è un governo con mille difetti e lacune. Ciò non toglie che siano un presidente e un governo legittimamente eletti; l’Ucraina è un Paese indipendente che ha il diritto di poter scegliere liberamente se aderire o meno alla NATO, all’Unione Europea o qualsivoglia altra “entità”. È stata aggredita, invasa come già è accaduto per la Cecenia, la Georgia, altre repubbliche in Asia ridotte a mero stato di servaggio. La colpa dell’Ucraina è non accettare di diventare parte della Russia di Vladimir Putin. Merito degli Stati Uniti di Biden aver reagito e aver costretto i paesi dell’Europa democratica a schierarsi a fianco degli aggrediti, contro gli aggressori. Chi chiede pace e invoca la fine degli orrori che coinvolgono la popolazione civile e mietono migliaia di vittime inermi e innocenti, fa cosa giusta e lodevole. Però accanto all’invocazione di “pace” aggiunga: “libertà”, “democrazia”. Sono le condizioni imprescindibili per la pace. Un’Europa stanca, dimentica di passati regimi totalitari, sembra sempre più restia a sostenere l’Ucraina, mostra di voler scendere a patti con Putin. Sessantasei anni dopo, si profila una nuova Monaco, ritornano emuli di Neville Chamberlain e di Edouard Daladier?
5) Gaza. Forse l’attuale generazione sarà fortunata: non vedrà quello che si può paventare; la prossima non ne sarei sicuro. In questi giorni a Gaza si consuma una tragedia, questo è fuori discussione. Migliaia di innocenti pagano l’abominevole crimine dei terroristi di Hamas. Ma la vera tragedia è quella che si annuncia. Tutti i segnali premonitori ci sono, a saperli e volerli saper leggere. Oggi Israele reagisce, per la sua sopravvivenza, con una ferocia che tradisce i suoi stessi valori fondativi. Non può andare avanti a lungo. I terroristi di Hamas, Hezbollah, tutti gli acerrimi nemici di Israele, palesi e occulti come l’Iran, stanno vincendo: Israele non solo è costretta a essere altro dal sogno. che fu di David Ben Gurion e gli altri “patriarchi”; è costretta a una politica che inevitabilmente, ineluttabilmente la condanna all’estinzione. E sarà, forse, un nuovo Sansone che soccombe con i nuovi Filistei.
6) Russia. Forse il presidente Biden, quando nel maggio del 2022 durante una visita in una fabbrica d’armi in Alabama ha definito Vladimir Putin un “dittatore con truppe folli”, non si è espresso come dovrebbe un Presidente; ma non c’è dubbio che abbia detto il vero. Putin è capo di una banda di tagliagole. Durante i primi due mandati della sua presidenza, e durante il mandato “transitorio” del fantoccio Dmitry Medvedev, l’attenzione di Putin era rivolta a mantenere un’immagine di modernità e rispettabilità internazionale. Poi la maschera ha lasciato il posto al vero volto. La realtà è quella di un Cremlino che perseguita e neutralizza con spietatezza tutti gli oppositori. Una forma di dittatura fondata. sulla paura.
Le “armi” di Putin sono quelle di ogni dittatore: manipolazione, negazione della conoscenza, paura. Quando ha agguantato il potere nel 2000, Putin si è mostrato propenso a collaborare con l’Occidente, disposto ad accettare i vincoli democratici pur accentrando il potere. Lo si è sottovalutato. I suoi consiglieri politici ed economici non erano dei “liberali”, come l’Occidente sperava. La sua corte era costituita da personaggi della sopravvissuta. comunità dei servizi segreti sovietici di cui lo stesso Putin proviene. Così ha progressivamente, sistematicamente eliminato tutte le persone che avrebbero potuto ostacolare le sue mire e progetti. La sua è una cricca che condivide la sua versione della realtà.
La società russa sembrava essersi evoluta, modernizzata, aperta ai valori liberali; ora, tuttavia, appare sempre più preda di sentimenti sciovinisti, con un’opinione pubblica percorsa da tendenze contraddittorie.
L’opposizione russa deve fare i conti con macchina oppressiva esperta, organizzata. Pochi i margini di manovra. Putin è sempre più dipendente dai servizi segreti e dalle forze armate; fino a che punto li controlla e ne è condizionato? Il tentato ammutinamento di Evgenij Prigozhin cosa significa esattamente? Il presidente russo aveva ricevuto numerosi avvertimenti che il fondatore del Gruppo Wagner sarebbe diventato un problema. Con la ribellione, è apparso chiaro che Putin non era in grado di difendersi. Prigozhin è stato eliminato, ma la domanda è: all’interno dei servizi di sicurezza, chi è davvero fedele a Putin? È tuttora valida l’espressione di Winston Churchill: “La Russia è un rebus avvolto in un mistero. che sta dentro un enigma”.
Improbabile un colpo di stato, possibile, comunque, una graduale erosione del potere del Cremlino. Con la ribellione di Prigozhin, si è assistito a una vistosa incapacità di reagire e di prevenire. Anche in condizioni normali è un compito troppo gravoso per una sola persona gestire tutte le questioni legate alla guerra, garantirsi la lealtà dei diversi rami dello Stato di sicurezza, controllare l’opinione pubblica interna, le questioni e i problemi che sorgono in un territorio enorme come la Russia (ben 11 fusi orari).
Quale il comportamento più opportuno dell’Occidente nei confronti della Russia? Sarebbe saggio, oltre che giusto che Stati Uniti e Unione Europea lavorassero d’intesa: per contrastare la corruzione e i legami economici occidentali con le dittature, chiudendo i canali di finanziamento, e limitassero per quanto possibile le influenze dei dittatori sulle società occidentali.
Solo se in futuro, un successore di Putin si mostrerà meno pericoloso, allora l’Occidente potrebbe valutare se reintegrare la Russia, aiutarla a svilupparsi come parte dell’economia globale e della comunità internazionale.
7) Cina: dall’impero guidato da Xi-Jinping l’eco di scricchiolii sempre più sinistri e numerosi. Per esempio, la defenestrazione improvvisa di potenti del regime, come misteriosa sparizione del ministro degli Esteri Qin Gang, “liquidato” con uno stringato comunicato. Poi il ministro della Difesa, il generale Li Shangfu: schiacciato con l’arma tipica delle lotte intestine cinesi, un’inchiesta per corruzione. A seguire il ministro delle Finanze Liu Kun e quello della Scienza e della Tecnologia Wang Zhigang. Infine (a quel che si sa) sostituiti due generali alla guida della Forza missilistica dell’Esercito popolare di liberazione. Quanto basta per indurre Nikkei Asia, sito specializzato in questioni cinesi, a parlare di “grande purga” in corso e sollevare pesanti interrogativi sulla governance di Xi, che ha reso, come ha scritto la CNN, “il sistema politico cinese sempre più opaco, concentrando tutto il potere nelle sue mani e imponendo una rigida disciplina di partito”.
Un mistero quello che accade nelle stanze del potere cinese, le più indecifrabili e blindate della scena politica contemporanea. La leadership di Xi mostra segni di usura che possono offuscare la figura del “nuovo timoniere”? Nessuno lo può sostenere con certezza. Di sicuro in dieci anni Xi ha “marcato” lo Statuto del Partito Comunista Cinese come nessun altro leader prima, Mao a parte.
Nel 2018 Xi ha eliminato il limite dei due mandati al potere presidenziale e costituzionalizzato il suo pensiero: un passaggio che gli ha consentito di smontare l’architettura istituzionale cinese e mandare in frantumi il precedente sistema di potere “collegiale” e a “termine”, elaborato per evitare che si ripetessero gli eccessi legati al culto della personalità su cui Mao poggiava il suo potere. Sono venuti a cadere i meccanismi istituzionali in grado di correggere gli errori e garantire una pacifica trasmissione del potere da una generazione all’altra; Xi ha smantellato le norme e le procedure che Deng Xiaoping aveva predisposto: limite dei due mandati, gestione collegiale del potere, cooptazione della leadership successiva, per evitare che la lotta politica di tramutasse ogni volta in guerra civile.
Il primo, vistoso, scricchiolio è legato alla pandemia Covid che si è sviluppata in Cina e poi ha contagiato il pianeta: Xi prima ha maldestramente cercato di mettere a tacere la cosa; poi ha dato corso a misure autoritarie e violente di contenimento; infine ha liquidato le restrizioni con sconcertante rapidità. Il tutto nella totale opacità sulla reale diffusione della malattia e con esiti disastrosi.
Xi non ha attuato le riforme fondanti la strategia di sviluppo cinese: investimenti di capitale e riduzione dei consumi interni. Se non modificherà drasticamente le sue strategie finalizzate a premiare le imprese statali e gli investimenti infrastrutturali, l’economia cinese continuerà a declinare, entrerà in un “decennio perduto” di stagnazione. Al momento la risposta è stata il rafforzamento sullo Stato, un sempre più opprimente controllo sulla società civile. Fino a quando? È ipotizzabile un’alternativa a Xi?
È un fatto che Pechino sia in grave affanno. Il tasso di disoccupazione tra i giovani dai 16 ai 24 anni potrebbe avvicinarsi al 50%, più del doppio della cifra ufficiale. In Cina ci sono tra i 23 ei 26 milioni di appartamenti invenduti: in un settore che da solo vale il 30 per cento del PIL. Dieci anni fa, il debito totale del Paese era pari al doppio dell’economia del Paese; ora è tre volte superiore. Il reddito pro-capite è di 12.700 dollari, un sesto di quello degli Stati Uniti. Il modello cinese, mix di liberalizzazione e controllo statale, secondo The Atlantic, è entrato in agonia. Per il New York Times, “la Cina non ha più la demografia per sostenere una crescita torrenziale: la sua popolazione in età lavorativa ha raggiunto il suo massimo intorno al 2015 e da allora è in calo”.
9) Africa. Marco Pannella, inascoltato, fin dagli anni ’80 del secolo scorso ha cercato di farci comprendere che “o ci occupiamo dell’Africa, oppure sarà l’Africa ad occuparsi di noi”. Da anni che enti specializzati ed esperti del fenomeno mettono in guardia da emergenze figlie di guerre, epidemie, dittature, sconvolgimenti meteo-climatici, se non “governati”, possono capovolgere gli equilibri geopolitici e i rapporti sociali ed economici dei Paesi occidentali. Nel 2021, un rapporto della Banca Mondiale Growndshell ammoniva che entro il 2050 almeno 216 milioni di persone saranno costrette a migrare a causa del cambiamento climatico e le sue conseguenze. Il rapporto prevede per i prossimi trent’anni migrazioni di intere comunità in fuga da catastrofi naturali e non, dalla perdita di territorio dovuto all’innalzamento del livello dei mari, da siccità, desertificazione, conflitti per l’accaparramento delle risorse idriche o energetiche.
Un altro rapporto, sempre firmato Banca mondiale Growndschell, prevede che entro il 2050 il solo cambiamento climatico provocherà la migrazione di 143 milioni di persone da tre regioni del pianeta: Asia meridionale, America Latina e Africa subsahariana. Diversi altri studi, documentano come l’innalzamento del livello dei mari mette in pericolo circa 150 milioni di persone: entro il 2050. Un’emergenza globale quantificata in cifre da brivido: dal Nord Africa 19 milioni di profughi; dall’Africa subsahariana 85 milioni di profughi; dall’Asia meridionale 40 milioni di profughi; dall’Asia centrale e da parte dell’Europa orientale: 5 milioni di profughi; dall’America Latina 17 milioni di profughi; dall’Asia orientale e Pacifico 49 milioni. Tutto previsto, documentato; qualcuno obietterà che si tratta di esagerato allarmismo, “interessate” previsioni; se ne discuta, ci si confronti, ma con dati di fatto, studi e analisi.
10) L’Italia. Come dice una canzone, “dolce paese / dove chi sbaglia non paga le spese / dove chi grida più forte ha ragione / tanto c’è il sole e c’è il mare blu… / In questo dolce e beato paese / vive la gente più antica del mondo / e con due soldi di pane e speranza / Beve un bicchiere e tira a campa’”. Non è così. Non può andar bene l’Italia che in un solo anno perda 36mila giovani che scelgono di andare a vivere all’estero, privano il Paese del loro sapere, delle loro capacità ed energie. Che giovani vadano all’estero per ulteriormente formarsi e apprendere, per allargare i loro orizzonti e fare nuove esperienze, è più che positivo. Il guaio è che la maggior parte di loro non tornano. Sono “cervelli” di cui altre realtà di arricchiscono e beneficiano e non si fa nulla per frenare questa fuga, anzi la si incoraggia. Di più: si lavora perché gli stranieri non vengano in Italia, si negano quelle opportunità che altrove sono concesse. altrove. L’Italia non è un Paese “vecchio”: è un Paese “stanco”. La contro-prova? Guardate i film italiani prodotti, li si metta a confronto con quelli realizzati negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, quando Roma e Cinecittà facevano concorrenza a Hollywood; si prenda un catalogo dei film fino agli anni ’70, sia i più “leggeri” che quelli “seriosi” e complessi. Ci si rende conto facilmente della differenza. Ha un nome quella differenza: si sapeva sognare. Oggi non si sogna più.
In carica un governo (è prima volta) di destra dichiarata e orgogliosamente esibita. Una destra volgare, sguaiata, villana nei modi; inefficiente, vorace, incapace. L’unico merito che gli si può riconoscere: per la prima volta è presieduto da una donna, Giorgia Meloni. Si è spezzato un tabù. Ora si è concretamente dimostrato che una donna, anche in Italia, può governare e governa. Perfino sgoverna, come e meglio di un uomo. Se c’è una differenza con i governi e lo sgoverno passati, è in negativo. Questo li supera; gli effetti li si vedranno e pagheranno nel lungo periodo. Le ferite che sono oggi inferte non si rimargineranno facilmente.
Altro primato: per la prima volta il più consistente partito di opposizione è anch’esso sgovernato da una donna. Una donna che in tasca ha anche la cittadinanza degli Stati Uniti; è nata in Svizzera; di origine ebraica; ama, riamata, una donna (fatti suoi ovviamente). Timidamente qualcuno, all’inizio ha provato a rinfacciarle questi status, poi ha preferito lasciar perdere: non facevano presa. Questo è positivo. Peccato che anche Elly Schlein dimostri, al pari di Giorgia Meloni, di avere pochissime qualità (politiche) e innumerevoli difetti (sempre politici). Tra le due finora la differenza è questa: Meloni è stata per lungo tempo all’opposizione e ha vinto senza nulla fare. Schlein ora è all’opposizione, anche lei non fa nulla; e riesce a perdere. Per il resto giova osservare che da almeno dieci anni la metà circa degli aventi diritto al voto rinuncia ad esercitare questo suo diritto; sostanzialmente dice: destra, centro, sinistra, siete uguali e ugualmente vi rifiutiamo. Un “vaffa…” indistinto e generale. Questo è il partito maggioritario in Italia: quello di chi, sfiduciato, rinuncia a esercitare quel diritto per il quale padri e nonni hanno lottato e sono morti.
11) Come in un gioco dell’oca, si ritorna al punto di partenza: “Il pessimismo. dell’intelligenza, l’ottimismo della volontà”. Come sia facile (e semplice) essere intelligenti, cioè pessimisti; come sia difficile (e complicato) essere volonterosi, cioè ottimisti.