“Di tutti gli animali della creazione, l’uomo è l’unico che beve senza avere sete, mangia senza avere fame e parla senza avere nulla da dire”: saggia osservazione di John Steinbeck, che, sulla parte alimentare, introduce perfettamente un tema già trattato su queste pagine e sempre più imprescindibile nella lista dei nostri doveri. Tempo addietro, il professor Andrea Segrè, docente di Politica agraria internazionale e comparata all’Alma Mater di Bologna e fondatore del Last Minute Market, intervistato in occasione dell’uscita del libro “Lo spreco alimentare in Italia e nel mondo. Quanto, cosa e perché”, aveva individuato negli Stati Uniti i maggiori dissipatori di cibo tra undici Paesi del primo e secondo mondo presi in esame.
Lo spreco alimentare è e permane una delle piaghe più vergognose, il cibo buttato potrebbe sfamare 1,26 miliardi di persone all’anno sulla Terra e questo dato non ha un significato solo economico, ma anche (im)morale.
Chi si impegna per abbattere questo sciàlo e come? E, soprattutto, cosa si può fare nel quotidiano? L’organizzazione non-profit Waste Warriors dal 2012 si preoccupa di raccolta di rifiuti e di consulenza sulla loro gestione in diverse parti dell’India, al punto da aver supportato nello smaltimento le organizzazioni di numerosi grandi eventi. un’organizzazione non governativa. A questo, che dovrebbe trasformarsi in un credo globale per salvaguardare pianeta e persone, afferiscono oggi numerose app, che permettono di agire con facilità e grande risparmio, a cominciare da Too Good To Go (disponibile su Google Play e App Store), presente in nord America dal 2020.
Il team italiano ha messo in rete negozi, ristoranti, hotel, supermercati (21.261 ad ora, a fronte degli 11.062 degli USA), in collaborazione con l’Università di Torino, l’Università di Roma Tre e Bain &Company Italia ha realizzato uno studio per indagare in profondità il tema e arrivare alla definizione di soluzioni efficaci, ha lanciato insieme ad alcuni partner la campagna Etichetta Consapevole per fornire i giusti strumenti per comprendere la differenza tra “da consumare entro” (data di scadenza) e “da consumarsi preferibilmente entro” (termine minimo di conservazione o TMC).
Altre iniziative analoghe punteggiano il web e anche la grande distribuzione dimostra attenzione. Carrefour, ad esempio, è stata la prima in Italia ad aderire a Too Good To Go, mentre Lidl guarda verso un futuro a spreco zero prevenendo eccedenze attraverso ordini calibrati, esposizione e sconti mirati con l’app Myfoody, divulgando i buoni consigli del Ministero della Salute e donando cibo agli enti caritativi che collaborano con la Rete Banco Alimentare.
Waste Watcher, il primo osservatorio nazionale sugli sprechi alimentari, diretto scientificamente dal professor Segrè su dati Ipsos, rilancia cifre “fresche” sullo spreco alimentare delle famiglie italiane: al primo posto si trovano i rifiuti della frutta (37%) e, passando per vari ortaggi, al quarto il pane (21%), a pari merito con l’insalata. Come si colloca geograficamente lo sperpero in Italia? Rispetto alla media nazionale, risulta più virtuoso, se così si può dire, il Nord (-8%), seguìto dal Centro (-7%), e Sud (+15%).
La domanda successiva è quella più ovvia: perché tanta parte della spesa – che si paga – finisce così spesso nel bidone? Ebbene, il 46% degli intervistati ammette dimenticanza e conseguente scadenza, il 42% constata un rapido deterioramento di frutta e verdura acquistate da frigo, il 31% afferma che il cibo che viene venduto è già vecchio, il 29% ammette di eccedere nelle compere e il 28%, a ruota, confessa di calcolare male la lista delle necessità.
E negli USA? Non tutte legislazioni dei vari stati si occupano specificamente della questione e gettar via cibo nella spazzatura è tranquillamente permesso e legale. L’Ohio ha adottato un approccio diverso, anche per prolungare la vita alla sua discarica: la Solid Waste Authority of Central Ohio (Swaco) non è l’unica, tuttavia una delle poche agenzie negli Stati Uniti che ha misurato l’efficacia della sua campagna di sensibilizzazione pubblica, mirata sulla persuasione, attestando nel 2021 un 51% dei rifiuti della regione avviato alla discarica tramite riciclaggio e compostaggio, cifra record rispetto al tasso di diversificazione nazionale del 32%.
Il livello allarmante di spreco alimentare rilevato da Swaco tra i residenti (36.000) di Upper Arlington, ha portato ad esortare la città – attraverso post sui social media, newsletter e-mail, cartoline – a comprare meno cibo stilando elenchi precisi, a fare piani per pasti più equilibrati, a congelare gli avanzi. Il risultato, dopo tre mesi, è stato un 23% in meno di cibo buttato.
Secondo l’organizzazione Feeding America, ogni anno negli Stati Uniti vengono buttati 119 miliardi di libbre di cibo, pari a 54 milioni di tonnellate, pari a oltre 408 miliardi di dollari: quasi il 40% di tutto il cibo prodotto negli Usa viene sprecato. Ma questo spreco avviene fin dall’inizio: dalle fattorie agli impianti di stoccaggio e distribuzione, dalle industrie ai dettaglianti, fin dentro le case: l’ultima tappa rappresenta il 39% del totale, ovvero, il 61% va al macero ancora prima di essere venduto al consumatore finale.
L’importanza del tema alimentare, che vede una lacerante, irrisolta contrapposizione tra affamati e spreconi, è testimoniata dalla assegnazione del Nobel per la Pace 2020 al World Food Programme (WFP), l’agenzia dell’Onu per la solidarietà internazionale nella lotta contro la fame, scelta tra 318 candidature (211 persone e 107 organizzazioni) arrivate per il 2020.
Nel discorso in occasione della consegna del premio, il direttore esecutivo del WFP, David Beasley ha ricordato l’importanza di un impegno collettivo per “porre fine alla fame nel mondo per tutti i 690 milioni di persone che vanno a letto affamate ogni sera”, interpretando il Nobel non solo come un ringraziamento al WFP, ma soprattutto come “invito ad agire: a causa di così tanti conflitti, del cambiamento climatico, del vasto uso della fame come arma politica e militare, e di una pandemia mondiale che peggiora il tutto in modo esponenziale, 270 milioni di persone stanno avvicinandosi sempre di più all’inedia. Se non si risponde ai loro bisogni, la pandemia della fame che ne conseguirà farà impallidire l’impatto del Covid-19”.
WFP dichiara 783 milioni di persone al mondo che non hanno la certezza di un pasto giornaliero e oltre 40 milioni in 51 Paesi che vivono un’incertezza alimentare grave. Bastano questi numeri per non far finire nel cestino dei rifiuti quel boccone che proprio non ci stava?