“A tavola viviamo di paradossi. Il primo è: c’è chi muore di fame e chi il cibo lo butta via. Il secondo: gli alimenti che più finiscono nella pattumiera sono proprio i gioielli della dieta mediterranea”.
Il professor Andrea Segrè, triestino ormai trapiantato a Bologna, è un pluridecorato paladino anti sprechi. Ha 62 anni – ne dimostra dieci di meno, proprio perché mangia il giusto e bene – e insegna Politica agraria internazionale e comparata all’Alma Mater dove ha fondato il Last Minute Market, impresa sociale da lui presieduta.
È in libreria il suo “Lo spreco alimentare in Italia e nel mondo. Quanto, cosa e perché”, edito da Castelvecchi e firmato a quattro mani con Enzo Risso, direttore scientifico dell’Ipsos. Segrè ha promosso nel tempo iniziative e campagne pionieristiche innovative come Waste Watcher, primo Osservatorio nazionale sullo scialo domestico, e Spreco Zero, formidabile campagna europea di sensibilizzazione su una questione che affrontiamo tutti i giorni: la razionalizzazione del nostro comportamento di consumatori a tavola.
Problema globale, professore?
“Purtroppo sì. Partendo dall’Italia, l’Osservatorio ha allargato l’analisi ad altre undici nazioni del cosiddetto primo e secondo mondo: Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna, Usa, Russia, Cina, Canada, Brasile e Sudafrica. La ricognizione ha confermato, numeri alla mano, quel che era la sensazione: siamo tutti dissipatori di cibo”.
In egual misura?
“Questo no. Sudafrica e Giappone sono in testa alla classifica comparata dei virtuosi. Noi e la Francia siamo una via di mezzo, mentre Germania e Regno Unito vanno maluccio”.
Chi sono i peggiori?
“Gli Stati Uniti. Ogni americano getta settimanalmente nella spazzatura 1338 grammi di alimenti”.
Vuol dare un termine di paragone?
“Il Sudafrica si attesta su 324 grammi. L’Italia è a quota 524,1 grammi, che vuol dire sperperare 27,253 chili di cibo pro capite in un anno”.
Non c’è da stare allegri neppure alla nostra latitudine.
“L’unica buona notizia è la tendenza positiva del post pandemia. Abbiamo imparato a stare un po’ più attenti e gli sprechi sono calati del 12 per cento rispetto all’anno scorso”.
Sprechiamo meno perché mangiamo meglio?
“Anche. Durante la clausura obbligata molti hanno ritrovato il gusto della cucina casalinga, eredità che si sono portati dietro una volta riaperte le porte: pranzi e cene al ristorante sono calati del 51 per cento, il delivery del 31, i piatti pronti del 30. E c’è un vantaggio ulteriore”.
Quale?
“Oltre al beneficio per la salute e a quello per l’ambiente, scegliere la qualità si traduce alla lunga in un risparmio per le tasche: meno acquisti e meno butti”.
Quanto ci costa essere sciuponi a tavola?
“Lo spreco domestico in Italia vale quasi 7 miliardi di euro nel 2022, pari a mezzo punto di Pil. Cifra a cui vanno aggiunti oltre 9 miliardi di euro persi nel complesso della filiera: il 26 per cento in agricoltura, il 28 per cento nell’industria e l’8 per cento nella distribuzione”.
Il piatto piange. Da dove cominciare per cambiare rotta?
“Servono comportamenti intelligenti. Ciascuno deve badare al carrello della spesa, al frigo, alla raccolta differenziata dei rifiuti. Alle amministrazioni spetta il compito dello smaltimento efficace e corretto”.
Qualche suggerimento preso dal suo metodo Spreco Zero?
“È un decalogo di buone abitudini. Innanzitutto consiglio di entrare nel supermarket con una lista precisa della spesa. Mai a stomaco vuoto sennò si rischia di cedere alla tentazione della merce sugli scaffali: se non ci serve, lasciamola lì. Fare attenzione alle offerte speciali, forse non sono così promettenti come sembrano. Leggere bene etichette e date di scadenza. Acquistare saponi e detersivi alla spina, comprare sfusi olio, vino, farina e legumi. Non considerare il frigo alla stregua di un ripostiglio: i prodotti vanno conservati in ordine di altezza perché ogni scomparto ha una diversa temperatura. Cucinare il necessario. Congelare l’eccedente anche se in piccole quantità. Recuperare gli le rimanenze. Ricordarsi che la frutta matura può diventare un’ottima marmellata da spalmare”.
Ecco, la frutta. È l’alimento mediterraneo per eccellenza: possibile che sia in cima all’elenco degli sprechi italiani?
“È così. Stessa sorte tocca a insalata e verdura, pane, patate, aglio e cipolle: cardini della buona dieta che finiscono nell’immondizia”.
Parliamo degli Usa: il pane è l’alimento che più finisce tra i rifiuti. Perché?
“Per gli americani il pane è l’alimento base in ogni momento della giornata. Vorrebbero trovarlo sempre fresco in negozio, perciò i rivenditori ne fanno grandi scorte a costo di grandi eccedenze. L’unica nota positiva sta nell’efficienza del circuito solidale e caritatevole di recupero della grande distribuzione”.
Difficile cambiare certe abitudini.
“La ferita aperta degli States è l’obesità, che consiste in uno spreco metabolico. Il professor Steven Finn dell’università di Pennsylvania spiega che quel sistema alimentare è caratterizzato dalla cultura dell’abbondanza, amplificata dalle lobby dell’industria agro-alimentare. Ma se l’aspetto etico è secondario, per i benestanti la fame diventa invisibile: dunque è complicato associarla allo spreco”.
Eppure la fame nel mondo esiste eccome.
“Il cibo buttato potrebbe sfamare 1,26 miliardi di persone all’anno nel pianeta”.
Una riflessione da tenere sempre a mente?
“L’educazione alimentare fa bene alla salute e abbatte i costi sanitari, puntiamo alla qualità piuttosto che alla quantità. E applichiamo la ricetta di Pellegrino Artusi, principe dei gourmet: utilizzare gli avanzi della mensa è un’arte e un piacere”.
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