Tirate fuori dalla ghiacciaia l’Odissea, lasciate scongelare, sfilettate con cura e mettete le lische in una casseruola con un filo d’olio. Scaldate a fiamma alta aggiungendo un trito di carote, sedano e cipolla. Salate e pepate. Poi versate un bicchiere di vino bianco e quando è evaporato coprite d’acqua il composto fino a cottura. Ecco pronto il fumetto di pesce. Il fumetto di mare. Il fumetto di Ulisse. La ricetta antica, preparata a bordo delle barche, viene proposta oggi riveduta e corretta secondo i canoni della cucina molecolare che aggiorna la tradizione. Il metodo applicato alla carta stampata – è una suggestione – dà il senso di un progetto felicemente innovativo: la riedizione del romanzo per immagini realizzato da Hugo Pratt giusto sessant’anni fa. L’opera di 128 pagine formato album si intitola Ulisse, è assemblata sui testi di Marco Steiner e Fabrizio Paladini ed è pubblicata da Cong.
Prologo. <Per chi come me si occupa d’avventura, Omero è il più grande riferimento letterario, sia un padre che un modello: siamo tutti discendenti di Omero>, chiariva il maestro di Malamocco. La sua Odissea illustrata sul Corriere dei Piccoli uscì in 25 puntate, a partire dal numero 43 del 27 febbraio 1963. Pratt era da poco tornato dall’Argentina sprofondata nella crisi economica, dov’era stato 13 anni raggiungendo la piena maturità artistica. Cominciò a lavorare assieme a Mino Milani, sceneggiatore in forza alla testata: soldatini da ritagliare, storie indiane, le vicende di Sinbad il Marinaio, L’Ombra (una specie di Uomo mascherato), le Fatiche di Ercole, l’Isola del Tesoro e il Ragazzo Rapito ispirati a Stevenson. Ma soprattutto assecondò una vecchia idea: fare l’Odissea, <il primo libro letto da bambino>. L’adattamento fu seguito dal direttore Carlo Triberti, con cui Hugo litigò più volte. I testi erano di Franca Ongaro, sorella dello scrittore Alberto Ongaro – grande amico di Pratt sui tetti veneziani e nella villetta de los italianos ad Acassuso -, che sarebbe diventata la moglie dello psichiatra Franco Basaglia.
Il mito si addice al disegnatore: Ulisse è un archetipo della letteratura mondiale e non solo. Nell’universo di Hugo è il ritratto perfetto di un marinaio curioso, scaltro, avventuriero, individualista, seduttore, antieroico, sarcastico o ironico, cattivo quando serve. Ovvero l’anticipazione di quel che sarebbe avvenuto di lì a breve: l’avvento di Corto Maltese in Una ballata del mare salato, pubblicata sul primo numero della rivista Sgt. Kirk (e poi sul Corrierino) il 10 luglio 1967. L’Ulisse di nuovo conio è una totale riscrittura che utilizza, in modo assolutamente libero, le immagini di Pratt. Non è quindi una riproposizione anastatica – sarebbe stata priva di significato – quanto un lavoro che associa i disegni a un testo inedito. Composto a due voci per l’occasione. Operazione dichiaratamente rivendicata dalla casa editrice, che proietta il tratto di Hugo fuori dalla prigione della gabbia grafica dell’epoca. Così i personaggi incontrano una seconda vita esplodendo dalla tavola originaria, schematica e didascalica più che fumettistica in senso stretto: c’era l’illustrazione inquadrata rigidamente e sotto, a mo’ di spiegazione, una dicitura di otto righe. Tutto all’opposto adesso. Con una sorpresa nella sorpresa.
Patrizia Zanotti, da anni vestale dell’opera di Pratt, è salita sulla macchina del tempo ricolorando e reimpaginando i disegni originali. Un ritorno al futuro: ha ripreso in mano i pennelli – stavolta digitalizzati con i suggerimenti dell’Apple store – degli esordi, quando studentessa del liceo artistico nel ’79 s’improvvisò colorista per Gli Scorpioni del deserto. Racconta: <Hugo mi dava poche indicazioni, di fatto avevo campo libero. Occuparmi del capitano Koinsky significava però usare quasi solo il giallo e il marrone per le uniformi, l’orizzonte, il deserto. Ero stufa e colorai una tenda di rosso. Fu pubblicata così, ma successivamente lui mi rimproverò per aver fatto di testa mia. E ogni volta che ci mettevamo al lavoro mi ammoniva: ricordati della tenda dancala>. Zanotti ha fatto di testa sua anche stavolta. Colori non più piatti e rinchiusi negli schemi della pagina, ma proposti con tecniche contemporanee. Spiega: <Ho usato il tablet perché ormai non trovo più chi mi faccia i blu, le pellicole e tutto il resto. Con molta fatica mentale e altrettanta diffidenza mi sono buttata. E’ stato fantastico. Lavorando al computer riesci a realizzare effetti proprio come all’acquerello. Puoi fare tutto. In più i file sono subito pronti per la stampa e consegni il prodotto al fotolitista saltando i passaggi intermedi. Ho badato comunque a non farmi coinvolgere troppo, limitando i fuochi d’artificio e adoperando sempre le mani dell’artigiano>.
Il risultato è magnifico. Polifemo accecato e rabbioso che getta i massi sulla nave dei greci infingardi; l’equipaggio del capo trasformato in maiali; i Lotofagi, i Feaci, i Lestrigoni; l’Otre dei venti e le giovenche sacre sull’Isola del Sole; la discesa nell’Ade; le Sirene, Scilla e Cariddi, le tempeste, i salvataggi, gli Dei benevoli e quelli vendicativi. Tutto risplende. Ulisse è un classico rivisto e modernizzato anche nella formula narrativa, centrata sul dialogo a distanza tra l’eroe e il figlio ventenne. Marco Steiner sceglie Odisseo l’accorto, il versatile, l’uomo dal multiforme ingegno. Ed è inevitabile riflettere sui punti di contatto con Corto, come pure sulle differenze sostanziali tra i due. Ulisse è l’eroe mosso da un prepotente spirito avventuroso, però il senso del dovere rende inevitabile il ritorno a Itaca. Concetto che non appartiene al marinaio con l’orecchino e tantomeno al suo creatore giramondo: <Non potrei vivere a Venezia, sarebbe la mia fine>, fa dire Hugo al Maltese. Entrambi viaggiano comunque verso la libertà, <l’unica parola per la quale vorrei essere ricordato> recita la battuta finale dell’eroe greco nell’albo.
Quanto alle donne, sono un capitolo a parte. Se Corto è un seduttore tutto sommato casto, Ulisse non si tira indietro. Il suo fascino è irresistibile. Circe la maga, femminista ante litteram, cade ai suoi piedi perché il venefico incantesimo non funziona: <Chi sei e donde sei tra gli uomini?>, gli chiede stupefatta. S’innamora di lui, giacciono insieme, lo lascia andar via con il cuore trafitto però lo aiuta a far le valige. C’è da invidiarlo. Nausicaa, vergine bellissima, è invece l’infatuazione platonica della figlia del re per un naufrago straniero. Pura, ospitale, delicata. Il congedo dal marinaio che si rimette in viaggio è una tenerezza: ricordati di me. Altra storia con Calipso, che lo amò e lo tenne vicina a sé per sette anni fino ad arrendersi alla sua partenza. Ma l’ultima notte prima dell’addio è desiderio irrefrenabile e amore carnale: lo lava, lo profuma, unge d’olio quel corpo virile. Ma su tutte campeggia Penelope, la sposa fedele assediata dai Proci, che da vent’anni non ha notizie del marito guerriero. Finché Ulisse decide che è arrivato il momento di tornare a Itaca, vendicarsi delle offese, riconquistare in un colpo regno e talamo nuziale. Lieto fine in salsa tzatziki benedetto dall’Olimpo, cornice del ritratto ammaliante che Pratt cuce addosso alla bella regina.
Nel gioco delle parti Fabrizio Paladini si prende Telemaco, perno di un romanzo di formazione dedicato ai ragazzi di oggi. Indica ai lettori giovani una strada diversa dalle compulsioni social, dai leoni da tastiera, da una comunicazione illusoria e claustrofobica, dalle nefandezze del dark web, dal sesso svilito a buon mercato, dalla vita scambiata per una playstation. <I vent’anni sono una linea, oltre la quale, chi va per mare sa cosa significhi passare dall’altra parte>, dice Telemaco, cucciolo d’uomo che trasforma il percorso in rito d’iniziazione. Alla ricerca del padre e di se stesso. La frase ricalca l’incipit di Aden Arabia, romanzo ribelle di Paul Nizan: <Avevo vent’anni, non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita>, diventato lo slogan della protesta studentesca nel Maggio francese. Uscire di casa per accumulare il sapere è l’imperativo. Lo fecero gli adolescenti durante le Crociate, lo fece Caravaggio garzone di bottega a Milano, Venezia e Roma, lo fecero i rampolli dell’aristocrazia nel Grand Tour europeo a cavallo fra ‘700 e ‘800. Oggi no, non è più così.
La generazione degli anni ’60, cresciuta a pane e televisione in bianco e nero, aveva trovato nell’Odissea una risposta e un’ispirazione. Merito dello sceneggiato (coproduzione Italia-Spagna-Francia-
Il finale è un seducente disegno a doppia pagina di Atena, divina protettrice dell’eroe, della sapienza, della arti e della strategia in battaglia. E’ lei la misura del tempo. I greci usavano due termini diversi per definirlo: Chronos indicava lo scorrere dei minuti, Kairos l’abilità di fare la cosa giusta al momento opportuno. Kairos è il tempo di Ulisse, il tempo di Corto, il tempo di Pratt.