“Piangi per te, Argentina. Quale che sia il 19 novembre l’esito del ballottaggio fra il peronista moderato Sergio Massa e l’anarco-capitalista Javier Milei il futuro appare fosco. Nessuno dei due candidati presenta le credenziali per favorire l’uscita del paese da una crisi devastante. Di avere soluzioni serie per ridurre un’inflazione che ammonta mostruosamente al 140 per cento e schiaccia quasi la metà del paese sotto la soglia di povertà.
Massa ha l’handicap di rivestire la carica di ministro dell’Economia in un governo che ha portato l’Argentina quasi al lastrico. La sua rimonta su Milei (nel primo turno è in vantaggio di quasi sette punti, 36,7 contro 30) è dovuta soprattutto al radicamento quasi inestinguibile del peronismo nella vastissima provincia di Buenos Aires (dove il governatore Axel Kiciloff è stato rieletto con il 45 per cento dei voti) e del favore delle masse più disagiate sorrette dalla politica dei sussidi del kirchnerismo. Il carburante della sua crescita, malgrado l’impopolarità del governo di Alberto Fernández di cui lui è il perno principale, si deve infatti anche (proprio in prossimità delle elezioni) alla pioggia di elargizioni e di esenzioni fiscali che hanno ancor più svuotato le casse dello stato ma hanno alimentato nuove illusioni di ripresa.
Massa, 51 anni, laureato in legge, immigrato italiano di seconda generazione (la famiglia arrivò in Argentina nel dopoguerra e fece fortuna con l’edilizia), minimizza lo sfacelo in cui è precipitato il paese assicurando che “il peggio è passato”. Ha dalla sua la forza del moderatismo e del pragmatismo. È un peronista di lungo corso, ma anomalo. Studia in un liceo cattolico di Buenos Aires e muove (contro il parere dei parenti che tentano di scoraggiarlo) i primi passi in politica in un movimento ultraliberista. Poi confluisce in una corrente di destra del peronismo che appoggia Carlos Menem. La sua scalata politica è fulminea: deputato provinciale a soli 27 anni e capo di gabinetto nel 2013 di Cristina Kirchner con cui poi rompe. Fonda così un suo partito moderatamente progressista con cui nel 2015 si candida in prima persona alla corsa per la presidenza (vinta dal conservatore Mauricio Macri). Rientra infine nel peronismo e viene eletto presidente della Camera. Distinguendosi come mediatore delle molteplici anime del partito-Stato che in Argentina prima ancora che una formazione politica è un sistema di vita. E diventa infine ministro dell’Economia nel governo Fernandez che nelle scorse settimane negli indici di gradimento è sceso sotto il 15 per cento.
Per far dimenticare il fiasco Massa punta sulle sue capacità di dialogo e dal suo ripudio verso ogni forma di estremismo che rischierebbe di spingere l’Argentina ancor più giù nell’abisso. Per sganciarsi dal fallimento, pur non rinnegandoli, ha preso le distanze anche dalla Kirchner e da Fernandez. E in vista del 19 novembre conta sull’appoggio dei governatori progressisti e dei sindacati. Ha inoltre buone relazioni con Il Fondo Monetario Internazionale, a cui il governo di Buenos Aires deve 44 miliardi di dollari, e non è mal visto neanche dalla Casa Bianca.
L’economista ultraliberista Milei, 53 anni, che coltiva ancora l’ambizione di scardinare il paese disintegrando le istituzioni per lui dannose (come la Banca Centrale e gran parte dei ministeri) con la motosega che metaforicamente impugna nei comizi, ha l’handicap dell’inaffidabilità. Muovendosi vorticosamente da outsider si è scagliato con veemenza contro tutti i vizi della vecchia politica.
Calamitando i consensi dei giovani e degli scettici che non credono più alle promesse da marinaio dei partiti tradizionali. Ma con la sua foga, che lo ha spinto fino a insultare il Papa, si è alienato l’opinione pubblica più equilibrata che non vuol farsi trascinare in pericolose avventure. A livello di immagine non gli giova neanche l’eccesso di eccentricità. L’attaccamento morboso ai suoi quattro cani clonati dalle cellule di un bulldog con cui trascorreva in solitudine le notti di fine anno. Gli stravaganti rapporti con una medium che lo avrebbe messo in contatto con Dio.
La contiguità di pensiero con Donald Trump e Jair Bolsonaro il cui conservatorismo estremo ha indubbiamente ancora un largo seguito ma alla prima verifica è stato sconfitto nelle urne. La sospensione di giudizio sugli orrori della dittatura militare. L’attrazione per personaggi perlomeno controversi come Al Capone che ha definito un “benefattore sociale”. Il pendolarismo fra varie collocazioni politiche. Le ricette radicali che potrebbero generare seri attentati alla democrazia. Un giornale spagnolo ha sintetizzato così il suo programma: “Non ti darò niente ma prenderò a calci nel sedere quelli che ti stanno fregando”.
La competizione del 19 novembre sarà serrata. Non è facile per un elettorato perlopiù disilluso dover scegliere il male minore. Entrambi i contendenti si stanno già affannando ad attingere consensi nel bacino sconfitto della conservatrice Patricia Bullrich, sostenuta dall’ex presidente Macri, che si è fermata al 23,8 per cento. La destra estrema confluirà probabilmente verso Milei. Quella più moderata, magari turandosi il naso, potrebbe rassegnarsi ad appoggiare il progressista Massa per evitare almeno il possibile collasso della democrazia.”