Zdenek Zeman non è mai stato un grande oratore. Ha sempre avuto un modo di esprimersi un po’ macchinoso. Più da filosofo, da profeta dell’etica applicata al mondo del pallone, che da semplice uomo di sport. La sua parlata italiana, resa rigida dall’impostazione fonetica della lingua di origine (il ceco) e rauca dalle troppe sigarette, dopo contorti giri di frase riusciva però sempre a centrare il bersaglio. Concedendosi spesso un filo di ironia. Oggi, dopo il secondo attacco di ischemia, il “maestro” boemo corre il rischio a quasi 78 anni di perdere l’uso della parola. Gli specialisti che l’hanno in cura al Policlinico Gemelli di Roma segnalano che è vigile e perfettamente in grado di rendersi conto dell’abisso neurologico in cui è precipitato. Ma al momento comunica solo a gesti. E non si sa se potrà recuperare almeno parzialmente la capacità di linguaggio.
Una sorta di crudele contrappasso per un tecnico che nel luglio del 1998 scagliò una clamorosa requisitoria contro il dilagare dei farmaci sospetti nel campionato italiano. Puntando il dito soprattutto sulla Juventus (poi assolta in sede processuale) e in particolare su due fra i suoi assi più celebrati (Vialli e Del Piero). Ne scaturì un terremoto di polemiche, con strascichi in tribunale, che si protrasse per anni. E nacque da un’intervista rilasciata a Predazzo proprio a chi scrive durante il ritiro precampionato della Roma (che Zeman allenava).
Il tema su cui avrebbe dovuto ruotare il colloquio ad onor del vero era un altro: la vittoria in casa ai mondiali della Nazionale francese multietnica. Ma l’appuntamento con Zeman, all’epoca in vacanza, slittò. E alla vigilia della partenza dei romanisti per il ritiro il “boemo” pronunciò una frase-bomba (“Il calcio deve uscire dalle farmacie”) che i cronisti non ebbero il tempo di approfondire. Una denuncia ancora non del tutto formulata che mi obbligò a rivedere la scaletta delle domande.
Zeman non volle incontrarmi la sera del mio arrivo a Predazzo. E neanche la mattina dopo perché doveva dirigere l’allenamento. Ci vedemmo dopo pranzo che lui preferì consumare da solo a un tavolo di distanza dal mio. Il tete a tete senza testimoni partì dai sospetti di doping. Nell’atmosfera postprandiale la conversazione stentava a decollare. Le pause con cui il tecnico rallentava l’esposizione dei concetti erano anche più lunghe del solito. Mi accorsi che il “boemo” si accendeva solo quando il discorso cadeva sulla Juventus. E mi venne naturale battere il ferro finché era caldo.
Zeman allora spiegò che era rimasto sbalordito dall’esplosione muscolare in così breve tempo di alcuni giocatori della Juve. Un risultato, aggiunse, che normalmente si sarebbe potuto ottenere solo in mesi di dure sedute in palestra. “A chi si riferisce?”, azzardai. E spuntarono i nomi di Vialli e Del Piero.
Ora, a parte la denuncia sulla farmacie che era però già stata in modo allusivo anticipata, la rilevanza dell’intervista risiedeva principalmente in quei due nomi. Un conto è dire genericamente: “Fra i club, e in particolare nella Juve, girano sostanze non autorizzate”. Un altro è chiamare direttamente in causa campioni di quel calibro.
Sei mesi dopo l’intervista ebbe un seguito. Per fare il punto incontrai di nuovo Zeman a Trigoria, il quartier generale della Roma. E gli chiesi se, al di là delle polemiche, avrebbe allenato volentieri Del Piero. “Di corsa”, rispose. Rivelando una grande stima per le straordinarie doti tecniche di un fuoriclasse che pur minacciava di trascinarlo in tribunale.
Quell’intervista ha probabilmente nociuto alla carriera di Zeman che divenne un eroe per gli antijuventini (proprio lui, nipote della bandiera bianconera Vycpalek, che in gioventù aveva tifato per la “vecchia signora”) e fu un po’ emarginato dal sistema. Di fatto il “boemo” non ha mai vinto titoli (salvo qualche campionato di serie B), pur continuando a stupire per la spettacolarità dei suoi schemi offensivi e per la straordinaria valorizzazione dei giovani talenti.
Nel 2012 John Elkann, dopo la conquista della Supercoppa a Tokyo contro il Napoli, con l’esordiente Carrera in panchina al posto dello squalificato Conte, pronunciò una frase irridente nei confronti del “boemo”: “Ha vinto più trofei Carrera in una partita che Zeman in tutta la sua carriera”.
Ma, per citare Francesco De Gregori, non è dall’assenza di trofei che si giudica un allenatore. “Un allenatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”. Il coraggio: la propensione a osare sempre che sfociava in punteggi eclatanti. L’altruismo: la capacità rabdomantica di intuire le doti di un campione e di estrarre il meglio dai suoi giovani virgulti. La fantasia: il gioco spumeggiante e a tratti irresistibile che lo ha reso un mito per gli appassionati di pallone.