Tutti danno per scontato che martedì Donald Trump ci informerà che si candida di nuovo per la Casa Bianca. Il suo consigliere Jason Miller promette che si tratterà di un annuncio molto professionale. L’ex presidente flirta con l’idea da settimane, e negli ultimi comizi ha promesso più e più volte di essere prossimo a farlo. Ma queste promesse sono state tutte fatte prima delle elezioni di metà mandato dello scorso martedì, quando cioè ancora si credeva che ci sarebbe stato uno tsunami repubblicano. Sull’onda del successo del suo partito, Trump sarebbe sceso in campo, smagliante di gloria, sicuro di poter contare su alcuni Stati fin ad allora in bilico, ma finalmente trasferitisi in territorio repubblicano con governatori amici pronti a sostenerlo ciecamente. Senonché le cose sono andate diversamente. Basti ricordare la Pennsylvania, che con i suoi 20 voti elettorali è uno degli Stati più rilevanti alle presidenziali, che nei sogni di Trump doveva restituire sia un governatore che un senatore repubblicano, e invece ha visto la vittoria dei democratici su tutti e due i fronti.
Allo stato attuale sappiamo che i repubblicani sembrano aver vinto la Camera, ma con una maggioranza molto più risicata di quel che si aspettavano, mentre il Senato è ancora in ballo e potrebbe restare ai democratici. E su quest’ultimo fronte diventa estremamente importante il ballottaggio che si terrà il 6 dicembre in Georgia, dove il candidato imposto da Trump, l’ex campione di football Herschel Walker si scontrerà con il senatore uscente, il democratico Raphael Warnock. Nessuno dei due ha infatti raggiunto il 50%+1, necessario nello Stato per assegnare il seggio. Walker si è fermato al 48,5 e Warnock al 49,4.
Con gli occhi su questa tenzone i repubblicani hanno cominciato a insistere con Trump perché rimandi il suo «grande annuncio». L’ex portavoce della Casa Bianca, Kayleigh McEnany, ad esempio pensa che l’ex presidente «dovrebbe mettere in pausa il suo annuncio fino a quando la Georgia non sarà risolta». Rimandare l’annuncio tuttavia significherebbe per Trump riconoscere che le elezioni sono andate male, che il suo “brand” è danneggiato e potrebbe a sua volta danneggiare il ballottaggio della Georgia, un’ammissione, per quanto indiretta, che di certo non è nelle sue corde. Per di più, Trump avverte di avere rivali alle calcagna, come si capisce dai commenti acidi che lancia contro il governatore della Florida Ron De Santis, che si è aggiudicato la rielezione con un margine del 20% sullo sfidante democratico, e che molti nel partito vedono come un astro nascente con reali chance presidenziali. Ieri il consigliere Miller ha però riferito che Trump gli aveva detto al telefono “naturalmente intendo annunciare che mi candido”.
Come meglio arginare le ancora verdi aspirazioni di possibili rivali se non scendendo in campo e concentrando su di sé i riflettori? E’ una lezione antica della politica americana, e senza andare troppo nel passato basta ricordare che anche Hillary Clinton la seguì quando si candidò alle presidenziali del 2016 tanto presto e con tanto peso da congelare ogni altra possibile candidatura rivale. Tuttavia va anche ricordato che si sono sentite le prime voci contrarie a una discesa in campo tout court.
L’enormità della delusione per la cattiva performance alle midterm si legge senza riserve nelle pagine e nei telegiornali dell’impero mediatico di Rupert Murdoch, deciso a scaricare Trump, che è stato infatti definito «tossico» sulla copertina del New York Post. Proprio qui a New York, il neoeletto deputato Mike Lawler, che ha al suo attivo l’eccezionale risultato di aver sconfitto Patrick Maloney, nientemeno che presidente del Democratic Congressional Campaign Committee, ha preso posizione in modo netto. Dall’alto della sua vittoria, una delle poche davvero importanti che i repubblicani hanno riportato martedì scorso, Lawler ha spiegato che secondo lui è il momento che Trump si faccia da parte: «Mi piacerebbe sicuramente vedere il partito andare avanti. Ci sono molte stelle nascenti».
Come lui anche un nome altamente rispettato nel GOP, Ed Rollins, uno dei più noti strateghi del partito, pensa sia giunto il momento che Trump riceva i ringraziamenti del Paese e si ritiri «a giocare a golf a Mar-a-Lago». Indiscrezioni raccolte dalla CNN e dal New York Times rivelano che la stessa famiglia Trump è divisa. La figlia Ivanka e il marito Jared insieme alla moglie Melania, non vogliono sentir parlare di una terza campagna presidenziale. Solo i due maschi, Donald Junior ed Eric sarebbero entusiasti e pronti a fiancheggiare il padre. Pare che in questo fine settimana, in cui l’intera famiglia è riunita a Mar-a-Lago per il matrimonio di Tiffany con Michael Boulos, il partito del no tenterà di convincere “The Donald” a rinunciarci. Prevedere il risultato è impossibile, come sicuramente il pubblico ha imparato dopo anni di frequentazione con l’umorale Trump. Ma è utile comunque ricordare che nel settore delle scommesse, il nome di Trump quanto a chances di vincere le presidenziali del 2024 è attualmente sceso sotto quello di Ron De Santis.