Sinora le competenze professionali sono state divise in due grandi categorie. Da un lato le competenze tecniche di base, le hard skills. Dall’altro, per esclusione, tutte quelle competenze collegate alla creatività personale: “difficili a definirsi ma fondamentali per integrare la preparazione teorica e fare strada nel mondo del lavoro”, commenta Heide Abelli, Senior Vice President di Skillsoft, una delle piu’ importanti multinazionali nella formazione del personale. Per esempio, nella categoria delle competenze manageriali, o power skills, troviamo: capacità di relazionarsi con i colleghi ed abilità nell’esporre le proprie ragioni. È quanto segnala lo studio “Le qualità per imporsi nel mondo del lavoro di oggi” (These are the most important skills you need to be successful in the modern workplace”), preparato dal World Economic Forum insieme alla giornalista Anne Fischer della rivista economica Fortune.
Tuttavia più che cercare di definire le competenze non tecniche, sarebbe meglio concentrarsi sulla loro utilità pratica. “Le chiamerei piuttosto doti di lungo periodo” commenta Jeremy Auger, cofondatore e responsabile strategico dei corsi di formazione presso la D2L, con un portafoglio clienti come Walmart, Procter & Gamble, Fidelity e American Express. Anche perché, grazie alla rapidità dell’attuale sviluppo economico, le competenze tecniche hanno un ciclo di vita brevissimo: appena diciotto mesi. Questo spiega il motivo per cui sul lavoro le competenze personali ormai vengono considerate doti di lungo periodo. Capacità di innovare, facilità di adattamento e soprattutto abilità nella gestione degli impegni, si confermano doti richiestissime sempre ed ovunque. Passiamo dalla teoria alla pratica: queste competenze portano le persone a sviluppare una capacità di persuasione e migliore sintonia non solo con i colleghi di lavoro, ma anche nelle normali relazioni sociali.
Si tratta di preziose competenze relazionali che i datori di lavoro cercano nei colloqui di assunzione, oppure insegnano ai propri impiegati. Allora, questa abilità nelle relazioni con gli altri si puo’ insegnare? La risposta non è facile. Sia che la questione si esamini dal punto di vista delle aziende, oppure dei dipendenti. Per esempio, le aziende debbono confrontarsi giornalmente con fenomeni “tecnici” come automazione, digitalizzazione, aggiornamento dei parametri produttivi. Parimenti le medesime società hanno ben chiaro che è solo grazie alla capacità di comunicare il messaggio aziendale in modo efficace, creativo, e soprattutto condiviso dal personale che è possibile vincere la concorrenza. Consoliamoci: la vita non è semplice anche per gli impiegati. Quanto più le funzioni aziendali vengono monopolizzate dalla logica digitale, ecco che sono le capacità umane ad assicurare ai dipendenti migliori prospettive di impiego. E questo rinnova l’ interrogativo: le competenze umane si possono insegnare? O almeno: come verificare se le si è apprese? Forse siamo destinati a rimane ancorati alle nostre abitudini?
Un dato è comunque certo: è improbabile che una valutazione scientifica si imponga sulla proverbiale prima impressione, che è poi quella ci condiziona. Per esempio, al termine di un corso di formazione per dirigenti, Skillsoft ha notato che i dipendenti continuano ancora a giudicare i loro capi in base ai reciproci rapporti personali e non sulle nuove competenze che i loro superiori hanno imparato. Ma questo non significa che sia sempre l’intuito a prevalere. Le società di consulenza e le aziende infatti non lavorano sulle impressioni personali: “siamo tenuti a raccogliere e considerare solo i dati oggettivi” nota Heide Abelli. Il conflitto fra opinione individuale e analisi oggettiva si conferma anche nei colloqui di lavoro. “In questi casi gli esaminatori continuano a farsi condizionare dalla loro prima impressione sul candidato”, osserva Auger, “malgrado moltissimi studi ormai confermano che gli impiegati si comporteranno in modo diverso da come si sono presentati durante la procedura di selezione”. In ogni caso é difficile capire se le persone cambiano il modo di farsi una opinione. Ecco quindi la utilità di sviluppare le doti relazionali, che Abelli riassume in tre “power skills”: comprendere, ragionare, mettere in pratica. Punto di partenza rimane la disponibilità alla comprensione degli altri. “In età infantile ci siamo abituati a non voler condividere i nostri giocattoli.
Questa attitudine forse è rimasta anche nella età adulta, come carattere dominante della nostra personalità. Ecco perché“, continua Abelli, ”innanzitutto é importante iniziare a ragionare. Cominciamo a domandarci perché sul lavoro le relazioni con i colleghi non vanno come vorremmo. Poi sforziamoci di entrare in relazione con le persone. Puo’ sembrare difficile“, chiarisce Abelli, “ma ricordiamoci che imparare qualcosa di nuovo richiede sempre uno sforzo”. Anche secondo Auger, non è mai semplice sviluppare le capacità relazionali con le persone che frequentiamo abitualmente. È come quando si impara a giocare a scacchi. “Possiamo leggere una infinità di manuali. Ma poi impariamo veramente solo se giochiamo con chi è più bravo. Anche i nostri corsi per sviluppare le capacità relazionali degli impiegati”, precisa Auger, “incoraggiano le persone a confrontarsi con i dirigenti oppure con altri colleghi”. Durante questo lavoro agli impiegati sono concesse pause di recupero psicologico. “Sappiamo che è difficile cambiare i pregiudizi”, prosegue Auger: “finché non ci riusciamo siamo istintivamente portati a tornare ai vecchi comportamenti. Ecco perché separiamo la valutazione degli errori in fase di apprendimento dal giudizio a fine corso. Questo consente ai partecipanti di sforzarsi di cambiare il loro modo di relazione con i colleghi senza timore di compromettere la carriera”. Dunque, per migliorare le nostre relazioni con la società che ci circonda, è prioritario comprendere gli altri, poi riflettere sulle nostre convinzioni, ed infine sforzarci di mettere in pratica il risultato delle analisi che abbiamo fatto sul nostro comportamento. Questo metodo si conferma vincente anche per i caratteri più difficili. “Le nostre abitudini non devono costituire un ostacolo al cambiamento: tutti possono imparare a migliorare le competenze relazionali. A nessuno è richiesta la perfezione”, conclude Abelli”, ma di migliorare la propria disponibilità almeno quanto basta a ridurre i problemi con chi abbiamo intorno”.