L’IRAN CHE NON CI RACCONTANO
Fatemeh Nassiri è l’ottantanovesima donna impiccata sotto la presidenza di Rohani in Iran. Insieme ad un uomo sono stati giustiziati la mattina del 19 giugno 2019 nella prigione di Gohardasht (Rajai-Shahr) a Karaj. Fatemeh Nassiri era stata in prigione per 11 anni dopo aver assunto la responsabilità di un omicidio commesso da suo figlio.
L’Iran è il paese che detiene il record mondiale di esecuzioni pro capite e il record di esecuzioni di donne. Più di 3.600 persone sono state giustiziate in Iran da quando Rohani è entrato in carica nel 2013.

ARABIA SAUDITA: ALMENO 37 ESECUZIONI + CROCIFISSIONI…
Secondo un report dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”, che si batte per l’abolizione della pena di morte nel mondo, il corpo di un uomo giustiziato è stato crocifisso ed esposto in pubblico in Arabia Saudita, dopo le esecuzioni di 37 persone avvenute il 23 aprile scorso. Lo hanno riportato i media locali, assieme a dichiarazioni secondo cui i giustiziati avevano “adottato ideologie estremiste e formato cellule terroristiche allo scopo di diffondere il caos e provocare conflitti settari”. Le autorità saudite hanno detto che una persona è stata crocifissa dopo la sua esecuzione. Il Middle East Eye riferisce che il corpo è stato mostrato in pubblico.

ARABIA SAUDITA. A 10 ANNI PROTESTA IN BICI, ORA RIAD LO VUOLE GIUSTIZIARE
Murtaja Qureiris è il più giovane prigioniero politico. Arrestato a 13 anni, ora ha superato la maggiore età e rischia l’esecuzione. L’Arabia Saudita si starebbe preparando a mandare a morte un 18enne arrestato quando aveva 13 anni e accusato di aver protestato contro il governo, aver assistito a un crimine che sarebbe stato commesso dal fratello maggiore e aver partecipato al funerale dello stesso fratello, ucciso in quella che le autorità hanno definito una manifestazione violenta repressa dalla polizia.
La denuncia arriva dalle organizzazioni saudite per la difesa dei diritti umani basate all’estero e dalla famiglia del ragazzo, che nella speranza di aumentare la pressione internazionale sul caso ha fornito a Cnn un video in cui si vede Murtaja Qureiris, all’epoca di 10 anni, guidare un gruppo di bambini in bicicletta nel 2011 mentre sfrecciano nelle strade chiedendo diritti.
“Nessuna delle accuse nei confronti di Murtaja è stata formalizzata”, spiega Ali Abubisi della European Saudi Organization for Human Rights, che sta seguendo il caso.
VENEZUELA, NON SE NE PARLA PIU’…
Nel 2018, in base a “Tendenze globali”, ultimo rapporto che pubblica UNHCR (l’agenzia dell’Onu per i rifugiati), i venezuelani hanno superato come numero la somma di quelli siriani e afgani. L’anno scorso 341.800 hanno chiesto asilo in diversi paesi del mondo, dando vita a quello che viene definito “il maggior esodo della storia recente in America Latina e una delle maggiori smobilitazioni del pianeta”. Il dossier offre una dettagliata panoramica su questo enorme popolo costretto alla fuga, a spogliarsi di ogni piccolo e grande avere, a sradicarsi dal suo paese e a vagare all’estero per tentare di ricostruirsi una vita. Nel 2018 sono state 70,8 milioni le persone che hanno dovuto abbandonare le proprie terre. E’ la cifra più alta registrata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ci sono 25,9 milioni di rifugiati, 3,5 richiedenti asilo e 41,3 milioni di sfollati all’interno del loro paese.

In America Latina sono i venezuelani quelli più colpiti dalla diaspora. Ogni giorno, secondo gli estensori del rapporto Ancur, fuggono in 5 mila. Se la tendenza non cambierà si stima che saranno 5 milioni quelli andati all’estero entro la fine di quest’anno. “Non esiste al mondo un gruppo tanto grande di persone che sia stato costretto a lasciare il proprio paese senza la presenza di una guerra o di una catastrofe”, commenta con il Pais William Spindler, portavoce di Ancur per l’America Latina.
La maggioranza si è trasferita in Colombia (1,1 milioni) e in Perù (428.200), senza considerare gli irregolari che restano dei fantasmi. Per affrontare questa emergenza l’agenzia Onu può contare sul 28 per cento dei fondi necessari. Il resto è affidato a ong e volontari.
NICARAGUA, NELLE CARCERI ANCORA 89 DETENUTI POLITICI
In Nicaragua il cartello delle opposizioni Alianza Cívica ha chiesto la liberazione di 89 detenuti politici che sono ancora agli arresti. Si tratta di persone comprese nella lista della Croce Rossa internazionale, ma che non sono riconosciuti come tali dal Governo. Non è l’unico segnale che in Nicaragua la repressione è ancora in atto.
“Negli ultimi giorni il Governo, attraverso la Polizia e altri gruppi affini, ha intensificato la persecuzione verso i nostri fedeli, filmandoli, fotografandoli, intimorendoli con aggressioni verbali e fisiche e con l’assedio alle chiese durante le celebrazioni liturgiche. Per questo denunciamo gravi violazioni alla libertà di culto, garantita dall’articolo 29 della Costituzione”, denuncia il segretario generale della Conferenza episcopale nicaraguense, mons. Abelardo Mata Guevara, vescovo di Estelí.
VIETNAM. SEI ANNI DI CARCERE PER DEI POST SU FACEBOOK
In Vietnam la “realizzazione, archiviazione, diffusione e propaganda di materiali e prodotti che intendono opporsi allo stato della Repubblica socialista” è un reato grave per il quale l’articolo 117 del codice penale prevede fino a 20 anni di carcere. Nguyen Ngoc Anh, un ingegnere idraulico e ambientalista della provincia di Ben Tre, è stato giudicato colpevole di tale reato e condannato a sei anni di prigione. La “colpa” di Nguyen Ngoc Anh è di aver usato il suo profilo Facebook nel giugno scorso per invitare la popolazione a protestare pacificamente contro la proposta di creare nuove zone economiche speciali che avrebbero comportato la cessione di terreni a proprietà straniere. Aveva ottenuto decine di migliaia di “like”.
In precedenza Nguyen Ngoc Anh aveva criticato il governo a proposito del cosiddetto “disastro di Formosa” del 2016, quando un’azienda taiwanese aveva scaricato in mare rifiuti tossici che avevano causato la morte di milioni di pesci. Il cartello che mostra nella foto recita: “I pesci hanno bisogno di acqua pulita, il popolo di trasparenza”. È sempre più evidente che le autorità vietnamite stanno estendendo ai social media la loro morsa, già sistematica nei confronti del dissenso offline. A gennaio è entrata in vigore una legge sui reati informatici che richiede alle aziende del settore di conservare i dati personali degli utenti e fornirli alle autorità quando li richiedano.