“Il governo di Salvini è la ragione per cui l’Italia è il centro dell’universo politico […] se funziona qui, la rivoluzione si diffonderà”.
Lo attendevano tutti, da giorni. E alla fine Steve Bannon non ha deluso le aspettative pronunciando un discorso che ha stregato il pubblico di Atreju, la kermesse annuale organizzata a Roma da Fratelli d’Italia.
Il partito di Giorgia Meloni, erede della destra nazionale italiana, si è dato appuntamento nell’isola tiberina con una tre giorni ricca di conferenze e ospiti illustri, dal ministro degli Interni Matteo Salvini al Presidente della Camera Roberto Fico.
Ma ieri è stata la figura di Bannon a tenere banco guadagnando il centro della scena. Dopo essere stato allontanato dalla Casa Bianca ora l’ideologo del trumpismo, definito da alcuni “l’anima nera” dei populisti americani, è sbarcato da alcuni mesi in Europa, dove ha fondato “The Movement”, una rete che aggregherà i partiti sovranisti europei e al quale la stessa Meloni chiederà oggi di iscrivere Fratelli d’Italia.

L’accoglienza riservata al leader della cosiddetta “Alt-Right” è degna di una star. Quando entra nella sala “Carlo Magno”, circondato da una piccola folla di reporter e da un cordone di polizia, viene salutato da un caloroso applauso.
Poi, salito sul palco, condensa in un monologo di mezz’ora il proprio pensiero rispondendo in seguito alle domande del giornalista Alessandro Giuli. Le sue sono parole dure, taglienti, dirette, e toccano quasi tutti i temi scottanti del momento: dalla crisi demografica alle storture della globalizzazione, fino dalla difesa dell’identità culturale occidentale “che da Atene a Gerusalemme giunge a Roma”.
Gli attacchi più veementi li riserva però al “partito di Davos” (dal nome Forum economico mondiale) simbolo delle odiate élite finanziarie responsabili dei disastri economici e geopolitici degli ultimi anni.
Con il loro liberismo sfrenato e prevaricatore, sostiene Bannon, queste hanno forgiato un sistema economico divenuto insostenibile, schiacciando e umiliando “la spina dorsale della società”, ovvero la classe media.
Il successo delle forze populiste in tutto il mondo è dovuto proprio alla frustrazione della gente comune. “Sono venuto qui per dirvi che non siete soli: Brexit, Trump, le elezioni del 4 marzo in Italia, fanno tutte parte di una sola cosa, il rigetto dello status quo”, ha tuonato dal palco. “Il partito di Davos vi detesta e detesta tutto ciò in cui credete”.
Il guru del trumpismo è un fiume in piena e non manca di lanciare bordate ai media mainstream, definite il “partito di opposizione” e pronte ad accusare di razzismo, nativismo e xenofobia chiunque non si allinei al pensiero unico. “Non si fermeranno di fronte a nulla”, ha detto, “prendendo di mira i voi e i vostri leader”.
A dire la verità, in alcuni passaggi, Bannon assomiglia a più a un uomo di sinistra che a un reazionario di destra. In alcune delle sue battaglie è infatti inevitabile trovare dei punti di contatto con la corrente populista del partito democratico americano, rappresentata da Bernie Sanders, per esempio nella feroce critica all’imperialismo americano (“l’America non è un potere imperiale, non abbiamo bisogno di protettorati”), o ancora nel duro attacco contro la Gig ecomony, la Silycon Valley, quintessenza di un capitalismo che ha abbandonato la working class.
Non è un caso: nelle elezioni presidenziali del 2016, gli elettori di Trump e quelli di Sanders avevano in comune proprio la feroce critica all’establishment.
Quando Bannon si rivolge ai giovani, poi, il suo appello è brutale: “millennials, vi prego di capire una cosa. Oggi siete in condizioni di salute migliori, siete più istruiti, più in forma e più sensibili culturalmente dei servi della gleba russi del XIX secolo, ma in realtà non siete altro che servi”. Parole che pesano come macigni sulla testa di una generazione disillusa e priva di prospettive.
L’unico modo per spezzare la spirale perversa in cui si è cacciato l’occidente è, secondo il guru dell’Alt-right, fermare la globalizzazione selvaggia e far trionfare “i valori della cittadinanza contro quelli del mercato”.
Non mancano, ovviamente, riferimenti all’ex capo Donald Trump, descritto come “un uomo di pace che non ha il dito sul grilletto, ma che vuole che voi vi sentiate al sicuro”.
Ma al centro di tutto c’è la lotta senza quartiere tra “patrioti” ed élite, da cui dipende per Bannon il futuro del mondo. Nell’evocare tale scontro, Bannon si richiama in modo suggestivo alla storia romana citando il sacrificio degli eroi Caio e Tiberio Gracco “simbolo del coraggio di cui abbiamo bisogno adesso”. A detta sua, se i patrioti non sconfiggeranno Davos “sarà la fine della razza umana”. Una nota apocalittica, che non manca di gettare sul suo discorso un alone sinistro.
Ora, la prossima sfida è quella delle elezioni europee del 2019, in cui la macchina da guerra creata dal guru di Trump proverà a espugnare la “fortezza Europa”, dando una spallata all’attuale sistema di potere dell’Unione.
Come ha avuto modo di precisare ieri il suo fondatore, The Movement avrà la funzione di coordinare le forze populiste fornendo ricerche, sondaggi e strategie utili a prevalere nelle urne. In questo senso, Bannon replicherà l’esperienza che ha portato The Donald alla Casa Bianca. Riuscirà a replicare l’exploit anche nel Vecchio Continente?