Il caso è esploso e ancora non c’è assoluta chiarezza sulla veridicità di ciò che ha scritto il futuro Presidente del Consiglio sul suo CV. Il M5S ha difeso immediatamente il suo candidato con una nota del suo ufficio di comunicazione:
“Nel suo curriculum Giuseppe Conte ha scritto con chiarezza che alla New York University ha perfezionato e aggiornato i suoi studi. Non ha mai citato corsi o master frequentati presso quella università. Quindi la stampa internazionale e quella italiana si stanno scatenando su presunti titoli che Conte non ha mai vantato! Conte, come ogni studioso, ha soggiornato all’estero per studiare, arricchire le sue conoscenze, perfezionare il suo inglese giuridico. Per un professore del suo livello sarebbe stato strano il contrario. Lo ha fatto e lo ha giustamente scritto nel curriculum, ma paradossalmente questo ora non va bene e diventa addirittura una colpa. È l’ennesima conferma che hanno davvero tanta paura di questo governo del cambiamento”.
Eppure, analizzando caso per caso le dichiarazioni dei suoi due Cv, è chiara la discrepanza su ciò che è dichiarato alla Camera e quello presente nell’Associazione Civilisti Italiani, non solo per quanto riguarda il periodo di “perfezionamento” alla NYU.
In questo caso, un Cv indica le date 2008-2009, da intendere dunque l’intero anno didattico; nel secondo dichiara che dall’anno 2008 al 2012 “ha soggiornato ogni estate, e per periodi non inferiori a un mese, presso la New York University, per perfezionare e aggiornare i suoi studi”. Il perfezionamento alla NYU è il caso più particolare. Dopo che la portavoce della New York University, Michelle Tsai, ha smentito quelle informazioni, dichiarando che “una persona con questo nome non compare nei nostri archivi come studente o membro di facoltà”, in molti si sono chiesti se avesse fatto seminari e conferenze in qualche istituto legato all’università stessa. Il Press Office della NYU ha rilasciato questa dichiarazione:
“As NYU indicated previously, we reviewed our records, and they do not reflect Giuseppe Conte having been at the University as a student or having an appointment as a faculty member. While Mr. Conte had no official status at NYU, he was granted permission to conduct research in the NYU Law library between 2008 and 2014, and he invited an NYU Law professor to serve on the board of an Italian law journal”.
Quindi ci sarebbe stato un permesso per studiare in biblioteca, può questo valere come corso di perfezionamento? Sui social già si scrive: “Ci sono entrato anch’io, a saperlo avrei potuto metterlo in curriculum!”.
Esiste una flebile prova della collaborazione tra docenti della NYU e Conte. Alcune email risalenti al 2014 testimoniano di incontri tra Conte e Mark Geistfeld, un professore della School of Law dell’università di New York. Siamo in attesa di un’intervista al prof. Geistfeld per dipanare i nostri dubbi.
Un altro docente di Oslo, Mads Andeanas, ha difeso il prof. Conte dichiarando che i “professori studiano in biblioteca… e non sono staff o students”. Andeanas si riferisce allo status di visiting professor, che ovviamente per essere tale deve avere un contratto con l’università che lo ospita. Quindi questa tesi non funziona.
Un altro particolare importante per quanto riguarda il periodo alla NYU è che, anche se prendessimo per buona l’ipotesi che professor Conte sia stato a New York (non si capisce in quali anni e per quanto tempo) solo per studiare in biblioteca, allora l’università deve per forza conservare la documentazione di rilascio del badge d’ingresso. Infatti, tutti i luoghi dell’università, compresa l’infermeria, la palestra e le biblioteche, hanno porte automatiche o personale di sicurezza ad ogni entrata, proprio per bloccare chi non è in possesso della NYU ID o del badge. Abbiamo chiesto all’università di visionare il badge e aspettiamo risposte, ma resta comunque l’aspetto deontologico di un professionista che inserisce nel proprio curriculum le biblioteche nel quale ha studiato come esperienza di ricerca accademica.
Per quanto riguarda l’anno trascorso alla Duquesne University, la Communication Officer Bridget Fare dichiara:
“Giuseppe Conte was at Duquesne University in the early 1990s as part of an affiliation with the Villa Nazareth program, a cultural institution in Rome founded by Domenico Cardinal Tardini, that fostered international student exchanges. The program enabled students from Rome to attend graduate programs at Duquesne University and undergraduates from Duquesne to attend classes at Villa Nazareth. Conte worked on legal issues related to a charitable trust that funded the program. He also helped to select the program’s participants. He was not enrolled as a student; rather, he was engaged in legal research and in advancing the work of our affiliation with Villa Nazareth. Although the University does not track the details of individuals’ involvement in research, several professors recollect that he was actively engaged while on campus.”.
Non abbiamo facoltà di sapere chi sono questi professori che confermano il suo “engagement”, ma il termine vago “perfezionamento” lascia intendere proprio uno studio, una ricerca, e non un ruolo organizzativo all’interno di scambi tra studenti. Villa Nazareth è una fondazione legata al Vaticano che si occupa di formazione tramite corsi e workshop. Non sono presenti, ad oggi, scambi con università americane.
Conte dichiara che nel 1993 ha ancora perfezionato i suoi studi giuridici a Vienna, presso l’International Kulturinstitute. Sotto questo nome non esiste alcun Instituto. Esiste invece l’Internationales Kulturinstitute, che è una scuola di lingue. Sembrerebbe, secondo l’Adnkronos, che Conte abbia frequentato un corso di lingue di primo livello dal 6 Agosto al 7 Settembre del 1990, quindi tre anni prima quanto dichiarato da lui nel curriculum. Una svista che non si dovrebbe perdonare a un professionista che usa queste informazioni per candidarsi (facendosi eleggere) in un ruolo pubblico, membro del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa.
Un altro punto controverso è la presunta “attività di ricerca” come “componente del Social Justice Group”, elencata nel già citato sito Civilisti italiani. Peccato che non esiste nessun organo nell’Unione Europea con questo nome. Una fioca possibilità potrebbe essere che si tratti di una formulazione imprecisa del “Social Justice in European Private Law”, un gruppo di studio internazionale che ha redatto un manifesto. La sua presenza alla ricerca e stesura del progetto però non è stata confermata da parte del capo del progetto stesso. ilpost.it ha cita un libro dove emerge che Conte abbia effettivamente firmato il manifesto, senza però parteciparne alla stesura. È questa dunque l’attività di ricerca decantata?
Ultima ma non ultima: l’agenzia Reuters e l’agenzia austriaca Apa hanno riferito che le università di Cambridge e l’Université Paris 1 Panthéon–Sorbonne (citate dai CV di Conte), non hanno trovato tracce della frequentazione del professore.
Alla fine della fiera, pur accettando degli errori e omissis nelle dichiarazioni di Conte, come è possibile che ci siano tutte queste incongruenze?
Ma c’è ancora un’altra atroce domanda alla quale urge una risposta: è possibile che nelle selezioni pubbliche nessuno controlli la veridicità dei CV?
Al di là del caso specifico di Conte, sono citabili numerosi altri esempi: Oscar Giannino millantava master a Chicago o Alessia D’Alessandro (M5S) diceva essere membro della CDU in Germania (subito smentita). Proprio Giannino diceva “ho mentito per un senso di inferiorità”.
Ecco che la vicenda assume contorni psico-sociali grotteschi: la grande mestizia di una generazione si rivela in questi casi emblematici. Per apparire più attraenti, magari per farsi assumere, è meglio dire che si è stati ieri a Cambridge, oggi a New York, domani a Shanghai. Meglio mentire pur di vantare la conoscenza dell’inglese (vedi il discorso iconico di Renzi), di aver avuto rapporti con l’estero, in qualche modo. Proprio la parola “estero” è diventata un mantra in Italia. Se non sei stato all’estero non sei nessuno, così molti si inventano di esserci stati. In un altra epoca fu nobile l’aver studiato semplicemente nel proprio Paese, senza remore. Oggi, la vocazione internazionale artatamente congegnata denota un profondo provincialismo che fa star bene solo chi ci sguazza.
A non prenderla bene sono sicuramente gli studenti, i professionisti e i professori che il profilo internazionale ce l’hanno per davvero, con tutti i sacrifici che comporta. Il grido di rabbia è lo stesso che i grillini urlavano davanti Montecitorio, rivolti al Parlamento, ma stavolta a parti invertite: Onestà! Onestà!