ll 29 maggio cade il centenario della nascita di John F. Kennedy, il presidente della Nuova Frontiera, dei diritti civili, della più drammatica crisi della guerra fredda.
A celebrarlo per primo festeggiare un incontro al Salone internazionale del libro di Torino realizzato in collaborazione con Passepartout Festival promosso dalla Fondazione Biblioteca Astense Giorgio Faletti di Asti, inserito nella sezione Superfestival.
Proprio nella 30ª edizione del festival è stata dedicata agli Stati Uniti, con la sezione Another side of America nel tentativo di raccontare “la vera vocazione” di un Paese che nello scorso anno ha prodotto un premio Nobel chiamato Bob Dylan e un presidente come Donald Trump.

Lunedì scorso nella sala rossa, Furio Colombo ha dialogato con Ennio Caretto nell’incontro Cosa resta di John F. Kennedy nell’era di Trump, moderato dalla presidente della biblioteca di Asti Roberta Bellesini Faletti.
Il tema del dibattito è stato analizzare le rivoluzioni del passato per contrastare quelle (negative) che stiamo vivendo e mettere in luce il rapporto tra l’America di Kennedy e quella di Trump.
Colombo, giornalista e inviato di molte testate e direttore dei programmi culturali della Rai-Tv, negli Stati Uniti è stato corrispondente per La Stampa e La Repubblica, ha scritto per il New York Times e per la New York Review of Books, è stato professore di giornalismo alla Columbia University e direttore dell’Istituto Italiano di Cultura.
La sua ultima pubblicazione Trump power con il Fatto Quotidiano va a analizzare proprio la figura del nuovo presidente. “Guardare a J.F.K. non è guardare al passato, ma al futuro. Ha dato vita a innovazioni importanti che spesso sono state dimenticate, come i Peace Corps: la sua idea di aiutare senza usare le armi è stata rivoluzionaria. Obama non ha portato avanti conflitti e questo l’ha fatto apparire debole a una fetta di America di oggi che crede i “veri uomini” debbano per forza condurre guerre. La campagna di Trump è stata non solo quella dell’uomo bianco contro l’uomo nero, ma anche quella dell’uomo che pensa che non debba esserci una donna al governo, sfruttando due tabù congiunti”.
Ennio Caretto, Giornalista del Corriere della Sera, corrispondente da Washington fino al 2011 e autore di Le due torri. I 10 anni che hanno sconvolto l’America, per Editori Internazionali Riuniti, ha tentato di rispondere alla scottante domanda, maturando attente riflessioni.
“L’America di Kennedy fu spazzata da un vento forte, una scossa di entusiasmo che contagiava tutti, soprattutto i giovani e li spronava ad avere una speranza, perchè in lui era facile identificarsi. Era un’icona e lo è ancora. E lo era la sua intera famiglia, portatrice di valori e immagini rassicuranti. In 50 anni, la leggenda dei tre fratelli, John assassinato a Dallas nel ’63, Robert assassinato a Los Angeles nel ’68, e Ted, ucciso dal cancro, e la leggenda delle loro mogli, la first lady Jackie innanzitutto, anche lei stroncata dalla tremenda malattia, si è appassita tra scandali e tragedie. Tutti uomini e donne di esemplari pubbliche virtù, che fecero sognare non solo l’America ma il mondo intero. A portare il testimone di questa importante eredità è stata la figura di Barack Obama “.

La risposta di Colombo è risuonata tetra nella sala gremitissima: “Il fatto che la vittoria di Trump non sia stata prevista dimostra che oggi è la sociologia che deve studiare l’America, non la politica”.
E dunque cosa resta di John F. Kennedy nell’era di Trump?
La storia politica di John Kennedy è stata interrotta a metà. Eppure, per Colombo, nei suoi anni di presidenza, JFK ha avuto modo di dimostrare la sua straordinaria levatura: “Ad esempio per come affrontò la crisi cubana dopo l’invio dei missili sovietici sull’ isola: assistito soltanto dal fratello Bob, Kennedy impedì ai suoi generali di puntare le testate atomiche. Fu uno degli eventi più bruschi nella vita politica americana: ma il presidente scelse di evitare la guerra. Ecco la grande forza di John Kennedy: usare la potenza americana in modo positivo e mai distruttivo. Usarla per la cultura, l’istruzione, le scuole, per rafforzare le alleanze, mai in termini di aggressione. Sempre con una visione di pace”.
Caretto ha poi ricordato gli eventi che hanno influenzato il governo di Kennedy, come la globalizzazione e la caduta dell’Unione Sovietica che ha causato la distruzione di tutti i movimenti socialisti che erano sorti pochi anni prima. “Kennedy – ha spiegato il giornalista – aveva capito infatti che era necessario un cambiamento sociale e lo aveva attuato. Oggi negli Usa abbiamo lo scontro tra la società civile ispirata da Kennedy e le grandi multinazionali. Trump è un affarista, ha creato un movimento. La sua non è anti-politica, ma anti-partitismo. È riuscito a mascherarsi da populista, ma in realtà è un rappresentante di Wall Street, dell’economia e dell’industria. E ora è guerra tra potere finanziario e politico. E i partiti non sanno più rispondere alle richieste dell’elettorato. Questa dovrebbe essere una lezione anche per noi, anche in Italia gli elettori faticano a capire con chi hanno a che fare”.
Con questa visione cruda ma realistica, difficile poter augurare a Kennedy “Happy birthday, Mr President!”.