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March 17, 2017
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Volete sapere dove sta andando il mondo? Non leggete i giornali

Tutto quello che ancora non avete capito se vi informate dai giornali o la tv

James HansenbyJames Hansen
Volete sapere dove sta andando il mondo? Non leggete i giornali

24, giugno, 2010: l'allora ministro degli Esteri britannico William Hague in visita alla Borsa di Karachi, Pakistan. (Foto www.flickr.com/photos/ukinpakistan)

Time: 2 mins read

Il giornalismo si basa sulla cronaca, sul “fatto del giorno”. L’informazione che riceviamo del resto del mondo è perlopiù sui momenti di crisi e sulle drammatiche rotture. I fatti “lenti” passano con difficoltà i filtri redazionali, non per cattiva volontà, ma perché il prodotto giornalistico è il “momento” e ciò che cambia con gradualità non è facilmente comprimibile all’interno dell’istante.

Gli americani sono in guerra da qualche parte da oltre quindici anni. È una guerra al “terrorismo internazionale”. Nel 2001 il Dipartimento di Stato Usa ha contato 348 attacchi terroristici in tutto il mondo, nel 2015 ben 11.774. Il dato per il 2016 non è ancora disponibile, ma è comunque desumibile che, se gli Stati Uniti stanno conducendo una “Global War on Terror”, la stiano sicuramente perdendo. Tra le borse più “performanti” al mondo si trova—da anni—quella di Karachi, il Pakistan Stock Exchange (PSX). L’anno scorso il suo KSE100 “benchmark index” è cresciuto del 43,05%. Tra il 2009 e il 2015 la Borsa pakistana è cresciuta mediamente del 26% all’anno in dollari Usa.

Il secondo paese al mondo per la produzione del caffè—dopo il Brasile—è il Vietnam. Nel 1980 ne esportava un totale di 77mila “sacchi”. Nei dodici mesi della stagione tra il 2015 e il 2016 il Vietnam ne ha esportato oltre 27,5 milioni di sacchi da 60 kg. Il 18% di tutto il caffè bevuto sulla Terra è vietnamita.

Piantagioni di caffé in Viet Nam nel luglio del 2005 (Fonte Flickr kangotraveler)

L’India ha un programma spaziale di tutto rispetto e manda con successo le sue sonde su Marte. Sta costruendo cinque sottomarini nucleari per insegnare un po’ di rispetto ai cinesi, che hanno da qualche tempo preso a pattugliare le acque indiane in maniera un tantino troppo aggressiva, o almeno troppo vistosa. Quella dell’India è la quarta economia del mondo e se lo possono permettere.

La Russia di Putin terrorizza l’Occidente: almeno l’Occidente europeo, culturalmente abituato da secoli —non decenni—all’idea dell’orso russo che “incombe” a Nord. Gli americani invece se ne curano così poco che si permettono di usare la Russia come una sorta di uomo di paglia per i loro giochi interni e si divertono a immaginare che i russi abbiano in qualche modo comprato il loro detestabile presidente. Da tempo la Russia è ridotta a potenza regionale e allarma sul serio solo i suoi vicini. Non tutti però. La Cina erode, velocemente, l’influenza e la presenza russa nell’Asia Centrale, negli “Stan” ex Sovietici— Kazakhstan, Kyrgyzstan, Uzbekistan, Tajikistan e Turkmenistan—principalmente attraverso la penetrazione delle loro economie.

Il PIL cinese (PPP, per valore d’acquisto) nel 2016 è stato il maggiore del mondo, superiore a quello degli Usa e anche a quello dell’intera Unione Europea. È una questione di soldi. Il PIL russo cala da anni e per il 2016 è stato calcolato in $3,75 trilioni (sempre PPP), meno di quello tedesco, più di quello del Brasile. Sono tanti soldi, ma non permettono di condurre simultaneamente guerrette in Ucraina e in Siria e poi, a tempo perso, sfidare Cina e Stati Uniti.

A ragionare sulle sorti del mondo con la visione semplificata degli affari internazionali assorbita dalla distratta lettura dei giornali o dai notiziari televisivi è pericoloso—non per l’incapacità o la malafede dei giornalisti. È che sono pagati per fornire sommi capi, per saltare di “cima in cima”, trascurando le ampie e noiose vallate in mezzo finché non scoppi qualcosa

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James Hansen

James Hansen

Americano della West Coast, vivo in Italia da molti anni. Sono arrivato, giovane, nel servizio diplomatico USA come vice console a Napoli. Lì ho capito che “da grande” non volevo fare l’ambasciatore. Sono passato al giornalismo come corrispondente dell’International Herald Tribune e del Daily Telegraph, in seguito spostandomi “dall’altra parte della scrivania” come capoufficio stampa di Olivetti, di Fininvest e infine di Telecom Italia. Da tempo mi occupo di “diplomazia privata”, accompagnando grandi aziende italiane nelle loro avventure internazionali. È la diplomazia che mi immaginavo da ragazzo, con obiettivi più o meno chiari e i mezzi e l’autonomia per perseguirli. An American from the West Coast, I have been living in Italy for many years. I got here young, with the diplomatic service as the US vice consul in Naples. There I realized that, as a grown up, I didn't want to be an ambassador. I turned to journalism as a correspondent for the International Herald Tribune and the Daily Telegraph, and later on, I moved to the “other side of the desk” as chief of press for Olivetti, Fininvest and finally Telecom Italia. I deal with "private diplomacy", backing up large Italian companies in their international adventures. It's the diplomacy as I imagined it when I was young, with more or less clear goals and the means and autonomy to pursue them.

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