Il Mondo piange. Piange di dolore, di rabbia, di disperazione. Piange i suoi morti. Corpi flagellati dall’odio, dalla dittatura, dal disastro, doloso o colposo. La conta delle vittime va dalla Francia alla Turchia, passando per i binari di due treni pugliesi: 84. 260. 23. I numeri delle vite spezzate prematuramente.
A Nizza la morte è arrivata per mano di un attentatore, a quanto pare terrorista islamista. In Turchia i morti sono quelli del tentato golpe al governo in carica, anche se non si capisce ancora chi siano i golpisti. In Puglia, infine, la conta è per i malcapitati di un disastro ferroviario evitabilissimo.
Volontà di uccidere o terribile fatalità. La morte negli ultimi giorni ha completamente catalizzato l’attenzione del Mondo, completamente occupato gli spazi di tutto ciò che è informazione. Da quella ufficiale a quella che parte dal basso. Ovunque si guardi, si parla di morte. In mezzo a tanto strazio che c’è una morte che passa forse in sordina. È una morte unica, di una persona sola, un solo nome, un solo volto, una sola colpa: essere “troppo social”.
Mentre a Nizza la Francia si scopre impreparata al terrorismo, la Turchia forse “troppo preparata” ad un golpe e la Puglia impreparata ad evitare un disastro, il Pakistan si sveglia impreparato a garantire che una sua figlia non venga uccisa per mano di suo fratello. Anzi.
Qandeel Baloch, aveva 26 anni e bellissimi occhi verdi. La sua sfida, essere la ‘Kim Kardashian’ del suo Paese. La sua sfortuna, essere nata in Pakistan, dove le foto su un social sono un disonore per un’intera famiglia. Ed è stata proprio la sua famiglia a mettere un punto a quella vergogna in cui Qandeel aveva trascinato i suoi parenti, quelli che le avevano chiesto di non esporsi più. E che l’hanno uccisa. Strangolata. Al termine dell’ennesima discussione, suo fratello Waseem le ha messo le mani attorno al collo e ha stretto, ha stretto senza che nessuno lo fermasse. Ha stretto finché la bella e “libertina” sorella non ha smesso di respirare. Non ha smesso di disonorare un’intera comunità. Ma Qandeel lo aveva capito di essere in pericolo, tanto da chiedere aiuto ad un ministro. Lei lo sapeva che la sua famiglia non l’avrebbe lasciata fare. Lo sapeva. Ma è morta lo stesso.
La sua colpa è stata ciò che da questa parte del Mondo, quello occidentale, è la normalità, anzi, è la regola: essere social, postare foto, twittare video, condividere vita. Ma non in Pakistan. Non nella famiglia di Qandeel. Femminicidio, si chiama. Orrore inaccettabile, sarebbe meglio. Un fratello che uccide una sorella legittimato da una madre e da un padre. È orrore. Senza mezzi termini. È orrore come è orrore un uomo che schizza su una strada falciando vite umane, senza risparmiare neppure i bambini. Come è orrore il sangue tra le strade di un paese dove i confini tra giusto e sbagliato, tra democrazia e dittatura non sono tracciabili. Come è orrore prendere un treno e non tornare più a casa.
Non c’è giustizia per i morti di questi ultimi giorni. Non c’è giustizia per le quasi 400 vittime. Non basteranno le lacrime dei loro cari a placare il dolore. Ma tra loro un pensiero va a Qandeel. Vittima tra le vittime. Uccisa perché social. Ammazzata perché donna. È anche per lei il dolore di questi giorni. Il dolore di un Mondo ancora troppo impreparato a gestire l’orrore delle morti atroci per mano dell’odio, della dittatura, del disastro o di un fratello che uccide il sangue del suo sangue. Addio, bella Qandeel.