Tutti si aspettavano che l’annuncio arrivasse mercoledì, a seguito dei risultati delle ultime importanti primarie in California, New Jersey e in altri quattro stati (Montana, New Mexico, North Dakota, South Dakota). Invece, alla vigilia dell’ultimo super-martedì di queste combattutissime primarie, l’Associated Press ha già incoronato Hillary Clinton, annunciando che la front runner democratica avrebbe raggiunto il numero di delegati necessari a conquistare la nomination.
L’effetto mediatico, ovviamente, è stato dirompente: i giornali e le televisioni di tutto il mondo hanno rimbalzato la notizia, che è stata tradotta come una vittoria definitiva e senza appello della ex First lady.
Dal canto suo, la Clinton ha colto la palla al balzo, approfittando dell’inaspettato aiuto per giungere col vento in poppa agli appuntamenti elettorali di martedì.
In realtà, però, la nomination di Hillary, a oggi, è basata almeno in parte su un equivoco, a lungo contestato nel corso della competizione elettorale. E non solo da Bernie Sanders, principale avversario della Clinton, ma da molti giornalisti e analisti politici. Il dovere di cronaca impone dunque, anche da parte nostra, un breve approfondimento. Il conteggio reso noto dall’Associated Press giunge all’indomani della netta affermazione della Clinton nelle primarie di Puerto Rico, ma oltre a riportare il totale dei delegati eletti a seguito delle votazioni fino a ora concluse nei vari stati, mette nel conto anche i cosiddetti “superdelegati”, ovvero i ben 714 esponenti di partito non eletti e senza vincolo di mandato, i quali esprimeranno la loro preferenza solo durante la convention di fine luglio a Philadelphia.
Si tratta, in sostanza, di un numero decisivo ai fini della nomination, e anche se una maggioranza consistente di essi (571 stando agli ultimi calcoli) ha dichiarato fin dall’inizio di appoggiare Hillary, conteggiarli come “voti sicuri” non contribuisce a fornire un quadro chiaro delle regole vigenti nel contesto delle primarie.
A confermarlo è persino il Democratic National Committee, l’organo ufficiale del partito democratico, il quale ha più volte precisato che contare i voti dei superdelegati prima della convention sia scorretto, dato che questi ultimi possono cambiare idea in qualsiasi momento a seconda delle circostanze.
Gli effetti di questo grossolano errore, dovuto alla dilagante superficialità giornalistica (in molti casi maliziosa), hanno avuto conseguenze già dall’inizio delle primarie. La percezione comune è stata da sempre che il vantaggio di Hillary nei confronti di Sanders fosse insormontabile, proprio per l’errato conteggio dei superdelegati. Tutto ciò ben prima delle votazioni nel Nord Est, le quali hanno dato la spinta decisiva alla ex First Lady in termini assoluti.
Riassumendo, in questo momento la front runner democratica ha dalla sua 1812 pledged delegates contro i 1521 di Sanders. Un vantaggio matematicamente insormontabile anche se Bernie dovesse conquistare la California, ma non sufficiente al raggiungimento della magica maggioranza di 2383, della quale saremo certi solo quando i superdelegati voteranno a Philadelphia.
Intendiamoci: i tentativi del senatore del Vermont di portarli dalla sua hanno scarsissime probabilità di riuscita e l’annuncio ufficiale della vittoria da parte di Hillary è politicamente legittimo, tanto più in previsione di una vittoria quasi certa in New Jersey martedì.
Ma se una cosa è certa, è che in queste primarie tutto può succedere.