“Mi considero il presunto nominato”. È con queste inequivocabili parole che Donald Trump ha commentato il successo elettorale di martedì, con cui ha letteralmente spazzato via i suoi avversari dagli stati del Nord–Est. Lo stravagante milionario newyorchese, si sa, ha la tendenza a esagerare, eppure per una volta le sue parole non sono sembrate eccessive dato lo straordinario risultato ottenuto in Delaware, Pennsylvania, Connecticut, Maryland e Rhode Island, in cui ha fatto il pieno di delegati.
Pur ampiamente prevista, l’ultima vittoria del tycoon è stata maggiore delle aspettative e gli ha permesso di allungare il vantaggio su Ted Cruz e John Kasich, matematicamente sconfitti già da un pezzo nella conta generale dei delegati. Numeri alla mano, infatti, al momento Trump è l’unico candidato a poter sperare di ottenere la nomination prima della convention di luglio in Ohio.
Per mettergli i bastoni tra le ruote, domenica scorsa i due competitor hanno deciso di stringere una “stramba alleanza”, che dovrebbe sortire i suoi primi effetti a partire dalle prossime primarie di maggio. In sostanza, Kasich lascerà campo libero a Cruz nelle cruciali elezioni dell’Indiana, in cui il texano è indietro di pochi punti percentuali rispetto al tycoon, impegnandosi in cambio a non fare campagna elettorale in Oregon e New Mexico. L’obiettivo manifesto è ovviamente quello di strappare quanti più delegati possibili a Trump, allontanandolo dalla fatidica maggioranza e approdando a una convention aperta in cui tutto può essere riscritto.
Ai fan di House of Cards il piano di Cruz e Kasich potrebbe sembrare perfetto. Nella realtà, però, l’ennesimo, tardivo e goffo tentativo di frenare Trump, più che il frutto di un disegno machiavellico fa acqua da tutte le parti, tanto da mostrare le prime crepe già dopo 24 ore, quando il governatore dell’Ohio ha rilasciato alla stampa delle dichiarazioni che alcuni hanno interpretato come un passo indietro rispetto a quanto annunciato poco prima dal suo staff. Oltre ad alimentare il populismo di Trump, che può a ragione lamentarsi di un sistema malato rafforzando la sua immagine di portavoce del malcontento della base, nel siglare la stramba alleanza i due sembrano aver tralasciato un piccolo particolare: la reazione degli elettori. I simpatizzanti moderati di Kasich e i seguaci ultraconservatori di Cruz non sono infatti intercambiabili, e potrebbero legittimamente rinunciare al voto piuttosto che rassegnarsi al ruolo di semplici pedine.
Dal canto suo The Donald va dritto per la sua strada, e anche se dovesse ricevere una battuta d’arresto in Indiana (o addirittura non raggiungere la maggioranza a luglio) non getterà di certo la spugna, a costo di far esplodere in mille pezzi il partito.
Con l’aiuto della nuova eminenza grigia Paul Manafort, uno che di convention contestate se ne intende, il tycoon gioca per ora su due tavoli, da un lato infiammando la base e accrescendo il proprio consenso popolare, dall’altro tendendo sotto banco una mano a parti dell’odiato partito per indurlo finalmente ad accettare, con le buone o le cattive, la sua ingombrante presenza.
Prima dell’annunciata vittoria nel Nord-Est, ai margini di un comizio tenuto a Philadelphia Trump si è ritagliato qualche minuto per incontrare il leader della Lega Nord Matteo Salvini con il quale condivide la retorica populista e i modi a dir poco “schietti”. Stando alle indiscrezioni, nell’incontro si è parlato di economia e soprattutto di immigrazione, temi sui quali sembra esserci intesa tra le destre populiste su entrambe le sponde dell’Atlantico. “Diventerai premier in Italia” ha detto Donald a Matteo; una profezia che fa gelare il sangue a molti italiani.
Mentre i repubblicani assistono inermi all’en plein dell’odiato Trump, nel campo democratico Hillary Clinton ha conquistato quattro stati su cinque, lasciando al rivale Bernie Sanders solo Rhode Island. Il vantaggio accumulato dalla ex First Lady dopo il trionfo newyorkese l’ha resa particolarmente sicura della vittoria finale, e i numeri sembrano darle ragione. Nel discorso successivo alla vittoria, Hillary ha ripetuto di voler unificare il partito, ed è sembrata proiettata verso lo scontro finale contro Trump.
Il suo avversario non è però intenzionato a mollare. Anzi, ora che la nomination si allontana è deciso ad arrivare alla convention con un bagaglio consistente di delegati per spostare a sinistra l’agenda progressista della Clinton. Secondo i giornali americani è molto difficile, a questo punto, che Bernie “tradisca” il partito rifiutandosi di appoggiare Hillary. Tuttavia, come ha più volte ripetuto il senatore del Vermont, sta alla rivale guadagnarsi la fiducia dell’elettorato fedele a Sanders, evitando un’emorragia di voti che potrebbe risultare fatale alle elezioni presidenziali.