Tutti contro tutti, senza esclusione di colpi. Con le votazioni del 20 febbraio alle porte, i candidati repubblicani puntano a conquistare il South Carolina lanciandosi l’un l’altro feroci attacchi e spot al vetriolo, un arsenale che da solo indica quanto sia importante questo stato per il successo della campagna elettorale. Negli ultimi giorni i complimenti non si sono sprecati: in una delle sparate alle quali ci ha ormai abituato, Donald Trump ha definito Ted Cruz un “individuo instabile”, minacciando addirittura di fargli causa allo scopo di contestarne l’eleggibilità (essendo il suo rivale nato in Canada) e inviandogli una diffida legale per bloccare un filmato in cui emergono le vecchie posizioni pro-aborto del magnate newyorchese. In risposta, durante il primo dei confronti separati andati in onda sulla CNN il senatore del Texas ha replicato a tono, giudicando “ridicole” le pretese di Trump e approfittando dell’occasione per bersagliare Marco Rubio, il quale a sua volta aveva chiamato entrambi dei bugiardi. A chiudere il giro di insulti è stato ieri il noto tycoon, risparmiando Rubio ma usando l’aggettivo “disgustose” per descrivere le tattiche utilizzate da Cruz in campagna elettorale.
Il secondo town hall non è stato facile per Trump anche a causa delle dichiarazioni rilasciate giovedì da Papa Francesco, secondo cui il front runner repubblicano non può considerarsi un cristiano per via del suo programma intollerante sull’immigrazione, fatto di muri e non di ponti. Rispetto alla piccata reazione di poche ore prima, sulla CNN il magnate ha evitato di ingaggiare con Francesco ulteriori polemiche, smorzando i toni e definendo il pontefice una “persona meravigliosa”.
Guerre sante a parte, il dibattito di sabato organizzato dalla CBS aveva già mostrato il clima rovente che attraversa le fila del GOP. Iniziato con un minuto di silenzio per commemorare la scomparsa del giudice Antonin Scalia, il confronto è degenerato in una serie di memorabili zuffe che non hanno risparmiato nessuno, a parte John Kasich, che ha sfoggiato una proverbiale correttezza, e Ben Carson, praticamente escluso dal confronto e quasi totalmente ignorato dai colleghi sul podio. E se l’establishment deve ancora scegliere su quale cavallo puntare per frenare l’ascesa di Trump e Cruz, usciti vincitori in Iowa e New Hampshire, secondo gli analisti sarà proprio il South Carolina a incoronare il candidato “istituzionale” del Grand Old Party. Nonostante i sondaggi continuino a dare un vantaggio consistente a Trump, le urne possono ancora riservare exploit inaspettati e rovinose cadute, considerando l’immane sforzo economico e organizzativo profuso in questo frangente da tutti i contendenti.
Perfino Jeb Bush, che negli ultimi sondaggi è intorno al 10%, spera in una risalita, considerata la reputazione di famiglia nello stato (feudo elettorale del padre e del fratello) e contando sulla buona performance nel town hall di giovedì, durante la quale è apparso più sciolto e si è detto sicuro di una rimonta.

Il clima infuocato delle ultime ore non deve destare sorprese: nella storia recente le primarie dei conservatori nel Palmetto State si sono sempre rivelate un campo minato, disseminato di scandali e colpi bassi in grado di affossare anche i politici più navigati. Nel 2000 fu John McCain a cadere in trappola, vittima di una “macchina del fango” organizzata ad arte proprio quando sembrava lanciatissimo verso la nomination. Dopo la vittoria in New Hampshire, che lo aveva portato a insidiare la corsa dell’allora governatore del Texas (e futuro presidente) George W. Bush, si diffuse la notizia totalmente infondata secondo la quale Bridget, la bambina che i coniugi McCain avevano adottato dal Bangladesh, sarebbe stata in realtà una figlia illegittima del senatore dell’Arizona. Furono inoltre trasmessi agli elettori dei messaggi automatici nei quali Cindy, la moglie di McCain, veniva descritta come una tossicodipendente. Non paghi, i nemici di John provarono a intaccare persino la sua reputazione di eroe di guerra insinuando che durante il conflitto in Vietnam si fosse svenduto ai Vietcong.
Tutto falso, ovviamente, ma abbastanza per tarpare le ali a McCain, che perse in South Carolina e poco dopo si ritirò, amareggiato, dalla competizione.
Anche le primarie presidenziali del 2008 furono segnate da giochetti poco puliti. Ne sa qualcosa Mitt Romney, ignaro mittente di una famigerata cartolina di auguri natalizi zeppa di richiami al libro di Mormon. Fin qui niente di strano, se non fosse che le citazioni erano state scelte apposta per indispettire i destinatari, repubblicani del South Carolina appartenenti a correnti cristiane diverse da quella del mormone Romney.
Oltre alle malignità però, c’è un altro motivo che rende il South Carolina così speciale per il Grand Old Party: grazie all’eterogeneità dell’elettorato conservatore presente nel Palmetto State, un mix tra evangelici, moderati e con un’altissima percentuale di veterani, qui i votanti hanno quasi sempre premiato il futuro vincitore delle primarie repubblicane, dandogli una spinta decisiva negli altri stati. Dal 1980 infatti, con la sola eccezione del 2012, chi ha trionfato in South Carolina ha poi prevalso a livello nazionale divenendo il frontrunner conservatore alla Casa Bianca.
Tanto basta a lasciarsi alle spalle qualsiasi scrupolo. D’altronde la posta in gioco è troppo preziosa: la nomination val bene un insulto.